Il gioco d’azzardo continua a prosperare sulla pelle degli italiani e lo Stato che fa? Se ne frega. La realtà è semplice quanto amara: lo Stato, le cui casse ogni anno grazie a slot machine, scommesse e casinò si gonfiano, non ha nessun interesse a contrastare seriamente il fenomeno. E così sindaci e governatori locali, gli unici che ci provano, vanno a sbattere contro tribunali e giudici.
Rendere illegale il gioco d’azzardo, chiudere i locali dove la gente va a rovinarsi, abolire le slot machine ormai è pura utopia. Girano troppi soldi. Secondo l’agenzia Agipronews, nel 2015 il giro di denaro stimato nel settore è stato di quasi 88 miliardi di euro. Solo slot e videolottery hanno fatto girare 50 miliardi. Lo Stato italiano ha incassato 8 miliardi.
Quello che si dovrebbe fare è almeno prevenire la dipendenza, allontanando i locali dai punti di ritrovo strategici come scuole, chiese, ospedali. Molti sindaci lo fanno da tempo ma la mancanza di una legislazione chiara e coerente spesso rende vane le loro battaglie. La loro diventa una lotta contro i mulini al vento. Il piano Balduzzi che nel 2012 aveva previsto distanze minime dai luoghi sensibili è caduto nel vuoto, non è stato mai attuato. Troppa la pressione delle lobby, troppi gli interessi economici in ballo.
I buoni propositi dei governatori locali finiscono per intersecarsi così in una ragnatela fatta di sentenze, controsentenze, cavilli giudiziari, giudici che si contraddicono tra loro. Il primo cittadino di Bolzano aveva vietato le slot machine entro 300 metri dai luoghi sensibili. Lo scorso 2 dicembre il Tar ha ribadito la legittimità dell’ordinanza. I gestori di bar e locali interessati hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato che il 2 febbraio ha invece sconfessato il sindaco. Secondo i giudici non può essere stabilita una distanza minima perché “mancano studi che dimostrino che la distanza di un chilometro sia adeguata a combattere la ludopatia”. I giudici tendono invece a convalidare i decreti che limitano gli orari di apertura. A Verona l’ordinanza del sindaco Tosi prevede che dal 17 febbraio le sale da gioco siano aperte dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 22, per un totale di otto ore.
Ad oggi sono 15 le regioni italiane che hanno messo dei paletti all’azzardo. Molti sindaci chiudono i locali la mattina (per evitare che i ragazzini saltino la scuola), qualcuno li allontana dagli sportelli bancomat oppure offre sgravi fiscali ai gestori dei bar che tolgano le macchinette-mangiasoldi. Del resto le slot fruttano più del caffè. E chi se ne importa se si tratta di giocatori compulsivi che si stanno rovinando la vita mentre i clienti si gustano il cappuccino. Basta non guardare e relegare le macchinette in sale nascoste.
Ludopatia: dipendenza dal gioco
Il gioco d’azzardo può diventare una vera e propria malattia. La cosiddetta ludopatia è considerata una dipendenza come quella dalla droga. Questa patologia spinge a giocare in maniera compulsiva: i malati continuano a giocare senza riuscire a fermarsi, anche se non stanno vincendo, finché non hanno perso tutto. Secondo gli psichiatri il ludopatico gioca per perdere. In Italia sono almeno 7mila i malati da gioco. Gli ambulatori continuano ad aprire e a presentarvisi sono sempre più giovanissimi: il 50% degli studenti delle scuole superiori è a rischio. Del resto possono evitare di mischiarsi ai disperati delle buie sale da gioco, tra operai, professionisti e casalinghe: il gioco online è la soluzione. Siamo tempestati di pubblicità che invitano a collegarsi ai casinò online con lo smartphone. Il messaggio finale dello spot, obbligatorio per legge, che sottolinea che il gioco può causare dipendenza è talmente veloce da passare inascoltato. Lo Stato se ne lava le mani: la lotta alla ludopatia (con ambulatori e ipocrite campagne di sensibilizzazione e prevenzione) costa appena 50 milioni: nulla in confronto agli 8 miliardi guadagnati grazie alle stesse persone da curare.
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