Giorgia Meloni, la leader dei Fratelli d’Italia, partito nato dalle ceneri del postfascismo, ha vinto le elezioni in Italia con largo vantaggio sui suoi compagni di coalizione, la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia di Silvio Berlusconi.
Il primo ricordo di Giorgia Meloni (Roma, 45 anni) è il fuoco. Le fiamme nella sua casa quando accidentalmente le ha dato fuoco mentre giocava a bambole con sua sorella. Poi c’è l’acqua. troppa. Il mare che gli arrivava al collo quando aveva solo tre anni. Suo padre, che in seguito l’avrebbe abbandonata e sarebbe andato alle Canarie, l’aveva lasciata su una barca da sola senza che lei sapesse ancora nuotare.
Da allora, racconta nella sua biografia la leader di Fratelli d’Italia, non ha smesso di frequentare corsi di nuoto e di immersione. “Sono piena di paure. Ecco perché voglio batterle“. Paura: sua e quella che genera. Ma anche vittoria. Idee che, in qualche modo, anni dopo avrebbero configurato il modo radicale di intendere la politica del leader di estrema destra, il cui partito ha vinto questa domenica le elezioni italiane.
Fino a questa vittoria, la politica romana ha costruito un percorso sempre più solido e ideologico. Ha preso decisioni importanti in questi ultimi cinque anni. In due occasioni si è astenuta dal partecipare alle riunioni esecutive alle quali era stata invitata. Primo, quello che con la Lega ha formato il Movimento 5 Stelle (M5S). Poi ha evitato anche di entrare in quella coalizione che tutti i partiti tranne lei hanno formato un anno e mezzo fa in appoggio a Draghi.
Fratelli d’Italia quindi è l’unico partito a non aver ‘calpestato’ il tappeto di Palazzo Chigi in questa legislatura. E anche per questo la sua formazione è stata fatta questa domenica con il 26% dei voti, 22 punti in più rispetto alle elezioni del 2018. Un rialzo praticamente identico alla caduta della Lega di Matteo Salvini, uno dei suoi compagni di coalizione, che ha ha peggiorato le previsioni più pessimistiche non raggiungendo il 9%.
La forza di entrambi i leader funziona come vasi comunicanti. Ma è anche un problema interno allo spettro di un’estrema destra che sta già lottando per la leadership con club in Italia e in Europa, dove i gruppi di appartenenza ―Salvini fa parte di ‘Identità e Democrazia’, in cui c’è Marine Le Pen, Geert Wilders o il Partito della Libertà Austriaco; Meloni presiede il gruppo del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei, dove condivide lo spazio con Vox o con il PiS della Polonia: sono molto diversi.
Meloni e Salvini condividono il loro gusto per l’estremismo, per le politiche anti-immigrazione o per gli slogan della legge e dell’ordine. Ma la loro origine è radicalmente diversa. La Lega è un partito federalista con radici settentrionali e Fratelli d’Italia è un artefatto romano piuttosto ricentrante. Entrambi i leader non sono stati fagocitati in questi ultimi anni e hanno utilizzato strategie diverse per arrivare qui. Meloni ora comanda. Ma al suo partito, senza una classe dirigente e con un passato che ricordava il post-fascismo, mancava qualcosa per combattere la paura che generava nei centri di potere italiani.
Il leader dei Fratelli d’Italia ha quindi voluto mostrare il nuovo aspetto ‘governativo’ il primo maggio. Quel pomeriggio, in occasione della Giornata dei Lavoratori nel mondo, la Meloni ha tenuto a Milano il congresso programmatico di formazione, mentre i sindacati onoravano il diritto al lavoro di strada. Un tentativo di avvicinamento alla grande industria, alla potenza finanziaria del nord.
La formazione della Meloni è stato sempre quella di un movimento romano con radici nella parte centro-meridionale del paese. Una proposta politica nata dalle braci del Movimento Sociale Italiano (MSI) postfascista e di una destra radicale europea. La Meloni in questi anni aveva già dalla sua parte tanti cittadini infiammati dal disagio dei tempi. Ma serviva un’altra svolta. E iei c’è stata.
Le sue possibilità di raggiungere Palazzo Chigi, sede del governo, fino a poco tempo fa erano scarse. Serviva una grossa vittoria e convincere il potere economico. Sembra che il successo elettorale sia già stato raggiunto. Poco prima dell’inizio della campagna elettorale, in Italia è stato sorprendente quanto accaduto durante un raduno Vox a Marbella, dove la Meloni è stata invitata da Santiago Abascal, all’inizio di giugno, e dove ha fatto un discorso che ha messo in allarme tutte le diplomazie europee.
Lei stessa ha poi ammesso, a Francesco Olivo su La Stampa, di aver sbagliato tono: «Troppo emotivo. Non mi è piaciuto quando mi sono vista. Quando sono stanca non riesco a modulare un tono passionale che non sia aggressivo”. Anche le parole pronunciate quel giorno contro il collettivo LGTB, contro i “burocrati di Bruxelles”, non si adattavano perfettamente alla linea adottata da lei stessa negli ultimi tempi. Nemmeno l’idea di sovrapporre la croce cristiana alla “violenza islamista”. L’attacco esoterico alla grande “finanza internazionale” e ai “burocrati di Bruxelles” è qualcosa che era stato diluito nei suoi discorsi.
Ma nel tratto finale della campagna ha rispolverato di nuovo quel tono. Una volta che era riuscita a rassicurare una certa classe dirigente – la classe dirigente del nord pensava più di un mese fa che sarebbe stata la vincitrice delle elezioni –, era giunto il momento di rassicurare i soliti elettori.
“L’egemonia della sinistra non è culturale. È di potere!”, ha gridato negli ultimi comizi. “Sogno una nazione in cui le persone che per tanti anni hanno dovuto abbassare la testa facendo finta di pensare diversamente per non essere licenziate, ora possano dirlo apertamente!”, ha insistito riferendosi ai più radicali settori del suo elettorato.
La biografia di Meloni, compagna e ispiratrice di Vox in Italia, fornisce alcuni spunti per analizzare il suo attento processo di trasformazione. La politica risponde a un libretto di istruzioni ideologiche un po’ più semplici di quello dell’ex ministro dell’Interno Salvini. Disprezza l’autonomismo e non ha legami con i movimenti federalisti. Non loderebbe mai l’indipendenza, come ha sempre fatto il suo partner. Non si è mai mossa dalla destra centralista più dura, cattolica.
Romana di razza pura, del quartiere Garbatella, una delle zone più genuine della Capitale, vicino a Testaccio, è figlia di un consulente fiscale andato via di casa quando lei aveva solo 12 anni. “Un padre che non c’è, che scompare, è un padre che non ti ama. che ti rifiuta È una ferita più profonda di quella di un padre che muore”, ha raccontato ad Aldo Cazzulo sul Corriere della Sera.
Figlia di umile famiglia, si guadagnava da vivere anche come cameriera in una delle discoteche più famose di Roma. “Non sono un panda”, risponde spesso, ridicolizzando le politiche inclusive. Ha poi terminato il liceo con il massimo dei voti prima di lavorare per qualche tempo come giornalista. Ma Meloni e il suo partito portano un peso indelebile, soprattutto per i loro rivali.
Fratelli d’Italia è emerso dalle dalle spoglie del MSI postfascista, nella cui giovinezza radicale Meloni ha militato. L’attuale logo del partito, infatti, conserva la fiamma che portava lo stemma del partito di Giorgio Almirante. Meloni faceva già parte del Fronte della Gioventù (la sezione giovanile del MSI) all’età di 15 anni e poco dopo divenne funzionaria statale per il settore studentesco di Alleanza Nazionale, il partito di Gianfranco Fini, erede diretto del MSI.
La formazione fu costretta ad esorcizzare quei fantasmi e a formalizzare nel 1995 in un atto solenne —la Svolta di Fiuggi—la rinuncia alle tracce del fascismo nel suo DNA. Ma quel nuovo partito portò Meloni al suo seggio di vice segretaria all’età di 29 anni. E nel 2008, quando Berlusconi aveva bisogno di partner politici per ottenere la maggioranza per il suo governo, chiamò Fini, che collocò la Meloni nell’Esecutivo di coalizione, nominandola Ministro della Gioventù.
Non aveva autorità, ma è stato un tempo molto prezioso, che le ha dato visibilità sui media. Oggi lo schema del governo è lo stesso. E poco a poco è diventata il leader della coalizione di destra. Meloni quando ha avuto l’opportunità di salire su un carrozzone – come negli ultimi governi – l’ha rifiutata. “È stata una decisione che abbiamo rivendicato perché in una nazione democratica ci deve essere un’opposizione. Altrimenti non c’è democrazia”, dice al telefono Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e esponente di spicco di Fratelli d’Italia.
Meloni agli occhi degli elettori incarna quella coerenza. Ma ha anche un fiuto notevole per il disagio. “Rappresenta un blocco sociale in difficoltà: i disoccupati, i precari, le periferie delle città, i piccoli imprenditori… Tutti coloro che non fanno parte dell’élite finanziaria che ha conquistato il mondo. La sensibilità sociale del nostro diritto è nota. Siamo una destra sociale, non liberale”, spiega Rampelli, “e questo si è accentuato da quando la sinistra ha abbandonato le parti sociali più deboli e rappresenta la grande finanza e il potere”.
L’origine di Fratelli d’Italia, al di là di quella radice postfascista difficile da estirpare, si trova anche nel crollo dei progetti di Berlusconi. Il Cavaliere aveva fondato nel 2007 un conglomerato politico noto come Popolo della Libertà (PDL) con il quale era riuscito a governare l’Italia unendo la destra, tra cui Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini. Un partito che aveva al suo interno una parte della destra radicale, che conviveva con un altro spettro più vicino alla Democrazia Cristiana.
Con l’arrivo del Governo tecnico di Mario Monti (2011) con l’appoggio del PDL, un gruppo di quell’universo ha deciso di cambiare strada. Fondano un nuovo partito, lo chiamano Fratelli d’Italia, nome non ufficiale dell’inno del paese, e affidano il comando a una donna. Dopo 11 anni i risultati di domenica collocano già Meloni a capo della coalizione di destra.
Da oggi la Meloni detterà parte del futuro poitico del Cavaliere e Salvini, suoi compagni di coalizione, che hanno ottenuto un risultato non eccellente. “Questo è il problema. Proveranno di tutto perché Meloni non possa diventare presidente del Consiglio”, hanno sottolineato alcuni nel suo partito prima delle elezioni.
Fratelli d’Italia non vuole che le sue iniziali siano associate all’estrema destra. Ma non c’è partito costituzionale più inclinato verso quella parte in Italia. “Il governo più a destra dopo Mussolini”, ha titolato la CNN sul suo sito web la notte delle elezioni. Giovanni Orsina, politologo ed esperto decodificatore dei pro e i contro del caos italiano, invece, ritiene che la definizione che calza a pennello con Meloni sia quella di “conservatore nazionale”.
“Meloni non si esprime contro la libertà individuale né contro la democrazia. Da questo punto di vista è pienamente all’interno della democrazia liberale. È conservatrice sulle questioni sociali, ovviamente. Ma il partito, per esempio, non è contro l’aborto. Quando è stata prodotta la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, si diceva che erano cose americane, ma che la legge italiana sull’aborto non doveva essere toccata.
Sulle questioni della libertà classica e della democrazia rappresentativa, non esprime nulla che non possa essere condiviso. Libertà di scelta, di espressione, di espressione del pensiero… Anche se quando si tratta della questione LGTB, adotta una posizione molto conservatrice. Ma una cosa è essere contrari all’adozione di bambini da parte di omosessuali e l’altra, contro gli omosessuali”, dice Orsina.
Meloni, invece, ha usato quelle parole e quel tono in altri discorsi. È diventato virale, infatti, un suo video in cui tratteggiava il proprio profilo. “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono una cristiana”. Il tono e la cadenza dell’autoritratto sono bastati per fare un remix e trasformarlo in un successo sulle piste da ballo italiane. Rampelli crede che “non c’è niente da nascondere”.
“Per noi la famiglia è una. Ciò non significa che gli omosessuali non abbiano diritto al riconoscimento. Ognuno può scegliere il proprio partner e coltivare i propri sentimenti e vivere il proprio amore con chi vuole. Siamo contrari a qualsiasi discriminazione medievale contro gli omosessuali. Ma la famiglia è un’altra cosa”, afferma uno dei leader dei Fratelli d’Italia.
In attesa del conteggio finale, Meloni ha trionfato. «Il presidente del Consiglio dei ministri è nominato dal capo dello Stato, garante dei trattati internazionali», ricorda Orsina. Quindi Meloni sarà incaricata di formare il governo. Ma, nonostante il suo trionfo, Giorgia genera ancora paura e qualche preoccupazione. Soprattutto fuori dall’Italia.
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