La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, vive tra sorrisi e lacrime: vola nei sondaggi politici e di coalizione, ma si trova al centro del fuoco incrociato di avversari ed alleati.
Il primo partito italiano: ormai è da parecchie settimane che si imputa questo scettro alla formazione di Giorgia Meloni; eppure la sua leader teme che questa esponenziale crescita di peso (almeno nei sondaggi) non le garantirà il prossimo governo del Paese, data la litigiosità e friabilità della coalizione di Centrodestra.
Dopo il secondo turno di amministrative c’è delusione nel Centrodestra e soprattutto in casa Fratelli d’Italia. È difatti la coalizione con PD e Movimento 5 Stelle ad incassare i risultati migliori nei ballottaggi.
Meloni si sente probabilmente la nuova Philippe Petit, una funambola che teme ciò che le sta sotto, i partiti del campo avverso desiderosi di rubarle il primato nazionale, ed al contempo le sferzate laterali dei venti, i propri alleati, i quali sembrano anch’essi mal digerire il suo dominio nella coalizione e cercano di ostacolarne l’incedere felpato.
Difatti nella ultima tornata di amministrative il partito di destra è stato il catalizzatore della coalizione dei conservatori, mettendo, sembrerebbe a livello definitivo, all’angolo la Lega di Matteo Salvini.
Ciò genera malumore a via Bellerio dove il Carroccio, dall’uscita dal governo nell’agosto 2019 al fine di ottenere quella valanga di voti da spendere in un governo quasi monocromatico (o dotato delle appendici degli alleati di coalizione), passa fragorosamente a forza destinata a tornare all’epoca dei successi berlusconiani: partito cespuglio di ingrossamento di un accorpamento gestito però da altre forze.
La debacle di Salvini condiziona anche Silvio Berlusconi e la sua reificazione politica Forza Italia. Quest’ultima sembra avviata ad una parabola discendente che coincide con quella del proprio leader (ennesimo emblema del primo partito personalistico italiano). Tuttavia per il Cavaliere, e soprattutto per i suoi eredi, si profila una via d’uscita spesso paventata: la fusione con la Lega. Si creerebbe così un corpaccione di centro-destra liberale e conservatore con un partito leghista più giorgettiano che salviniano.
Impensabile per i berlusconiani compiere la stessa operazione con Fratelli d’Italia, le cui posizioni, nonostante gli ammorbidimenti propagandistici causati dal conflitto russo-ucraino, restano su molti punti divergenti e figli di ideologie diverse.
Di fronte a questo scenario Giorgia Meloni si ritrova a guardarsi su ogni lato: attacca gli avversari del centro-sinistra (rammentando ad esempio come a livello di computo di comuni il centrodestra sia avanti e quindi Letta non abbia nulla di cui festeggiare) e chiede con alquanta irritazione ai propri “alleati” un incontro chiarificatore. L’ennesimo, che probabilmente, al pari degli altri, ribadirà l’unità e la condivisione interna la quale è però motivata dalla legge elettorale vigente.
La litigiosità interna e gli sgambetti reciproci (vedi le elezioni di Verona) allontanano gli elettori, eppure il sistema maggioritario italiano obbliga le forze che vogliono governare ad ammucchiate che spesso poi esplodono nel corso della legislatura (questa che va a concludersi ne è un esempio emblematico).
Quindi uno stare insieme per convenienza elettorale che mostra il suo rovescio proprio nei confronti dell’elettorato, che non premia un gruppo che appare incapace di mettersi d’accordo su di un sindaco, figurarsi riguardo la gestione di una nazione all’interno del consesso internazionale.
Tuttavia, a meno di una convergenza verso una legge proporzionale (la quale in questo momento converrebbe forse un po’ a tutti) alla Meloni sembra non restare altro che esibire l’ennesimo riso sardonico, sperando sia sufficiente per sedersi a palazzo Chigi.
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