Valeria Lembo aveva soltanto 34 anni quando morì dopo una somministrazione errata di un farmaco chemioterapico.
La giovane, che 7 mesi prima del decesso era diventata mamma, morì al Policlinico di Palermo, dopo un’agonia durata 3 settimana. Per il suo decesso, sono stati condannati 3 medici del nosocomio siciliano, mentre due infermiere sono state assolte.
Era diventata mamma da poco, quando aveva scoperto di essere affetta dal linfoma di Hodgkin. Così, Valeria Lembo – 34enne di Palermo – aveva iniziato la chemioterapia. Quella cura, che avrebbe dovuto salvarle la vita, le risultò fatale. Era il 7 dicembre del 2011 quando alla giovane mamma venne somministrata una dose eccessiva di Vinblastina – un farmaco chemioterapico – che la uccise dopo settimane di atroci sofferenze. Valeria Lembo morì esattamente 22 giorni dopo, il 29 dicembre di quello stesso anno, per avvelenamento.
Anziché 9 mg, alla donna vennero somministrati 90 milligrammi del farmaco, una dose che – come si legge nei faldoni dell’inchiesta – avrebbe ucciso anche un elefante. Il giorno seguente alla errata somministrazione della Vinblastina, Valeria Lembo cominciò a stare male. La 34enne venne ricoverata prima al Buccheri La Ferla di Palermo, per poi essere trasferita al Policlinico di Palermo, dato l’aggravarsi delle sue condizioni.
Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, pare che i medici del reparto oncologico si fossero immediatamente accorti dell’errore, ma abbiano evitato di comunicarlo sia alla vittima che ai familiari.
Sono serviti sei gradi di giudizio e oltre 10 anni per mettere la parola fine sul caso di Valeria Lembo. I medici coinvolti nella drammatica vicenda di Valeria Lembo sono così stati condannati ad un risarcimento danni. Il primario Sergio Palmeri dovrà risarcire l’azienda sanitaria con 875 mila euro, l’oncologa Laura Di Noto e l’allora specializzando Alberto Bongiovanni dovranno versare 318 mila euro di risarcimento danni ciascuno. Per le infermiere Elena Demma e Clotilde Guarnaccia sono cadute tutte le accuse.
Di Noto era l’oncologa in servizio quella mattina, mentre Bongiovanni era lo specializzando che cancellò dalla prescrizione lo zero davanti al nove. La Di Noto ha sempre ammesso le proprie responsabilità e infatti i giudici hanno tenuto conto di quanto riferito in sede processuale, concedendole le attenuanti generiche.
Anche lo specializzando aveva sempre ammesso quanto accaduto:
“Sono stato io. Rileggo la prescrizione e la cartella, mi accorgo della discrepanza e cancello l’errore”.
Nel 2015 sono state pronunciate le prime sentenze di condanna. La pena più alta era stata di 7 anni per omicidio colposo e falso. “Un assassinio, la più grave colpa medica mai commessa”, aveva detto il giudice Claudia Rosini pronunciando la sentenza di condanna.
Nel marzo di quest’anno la Corte di Cassazione si è pronunciata esattamente un giorno prima che scattasse la prescrizione, rigettando i ricorsi degli imputati. Nelle scorse ore è stata pronunciata la sentenza per il risarcimento danni.
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