I giovani d’oggi rimangono giovani sempre più a lungo, una sorta di eterni Peter Pan che ritardano il più possibile il passaggio all’età adulta, indietro di 3 anni rispetto ai coetanei di 30 anni fa, tanto che un 18enne di oggi è come un 15enne del 1976. A dirlo è uno studio che ha preso in esame circa 8,4 milioni di adolescenti americani tra i 13 e i 19 anni, seguendoli nel corso degli ultimi 40 anni, condotto da Jean Twenge, docente di psicologia alla San Diego State University e autrice del saggio “iGen: why today’s super- connected kids are growing up less rebellious, more tolerant, less happy – and completely unprepared for adulthood”, edito da Atria Books e pubblicato sulle pagine della rivista Child Development.
Lo studio ha analizzato la tendenza a iniziare quelle azioni che segnano il passaggio verso l’età adulta, segnalando un ritardo col passare delle generazioni. Negli anni ’90 si iniziava ad avere i primi appuntamenti intorno ai 15-16 anni, mentre nel 2010 l’età media si è alzata a 17-18 anni, ma anche le prime esperienze sessuali si sono spostate più avanti: se nel 1991 il 54% dei 17enni aveva avuto la sua prima esperienza, nel 2015 la percentuale è scesa al 41%. Stessa cosa per il primo contatto con l’alcol, con una tendenza a calare per i 13-14 anni del 59% tra il 1993 e il 2016.
L’autrice dello studio ha posto l’accento in particolare sulla cosiddetta iGen, che nel saggio definisce “la prima generazione ai trascorrere tutta l’adolescenza nell’era dello smartphone”.
Con i social media e il web che ha preso sempre più spazio nella loro vita, i ragazzi di oggi passano meno tempo coi propri amici di persona, forse perché, si legge nell’introduzione al saggio “stanno vivendo livelli senza precedenti di ansia, depressione e solitudine”.
Il web, fa notare la studiosa non può essere l’unica spiegazione del fenomeno, anche perché la tendenza si è registrata prima del boom dell’Internet di massa. Per questo, la psicologa richiama la teoria life- history, secondo la quale un ambiente più protetto ritarda il bisogno di crescere e di affrontare l’età adulta, con i rischi connessi.
“Dal 2000 in poi i figli hanno avuto più agi. Rispetto agli anni ’70 è aumentato il reddito delle famiglie e si è ridotta la loro dimensione” osserva Twenge. “Così i bambini hanno iniziato a sentire come meno pressanti le urgenze dettate da un orologio biologico formatosi in tempi più primitivi”.