L’ultimo censimento ISTAT ha registrato in Italia per il mese di luglio 2014 un tasso di disoccupazione giovanile pari al 39.5%. Preoccupante l’emergenza lavoro anche nel Sud Italia laddove l’ISTAT ha rilevato un tasso di disoccupazione del 21.9% in Campania (dal 18.4 di un anno prima), 21.6% in Sicilia (dal 19.4% di un anno prima), del 21.5% in Calabria (dal 19.8% di un anno prima). In Calabria c’è un tasso di occupazione più basso in Italia con appena il 39% di persone occupate nella fascia di età fra i 15 e i 64 anni. Fra le regioni con il tasso più basso di disoccupazione c’è il Trentino (5.8%), il Fruili, (6.9%), il Veneto (7.5%), e la Lombardia (7.6%).
Nel nostro Paese il numero di disoccupati continua ad aumentare e nel secondo trimestre 2014 ha raggiunto quote esorbitanti di circa 3,075 milioni, 370 mila in più rispetto all’anno prima ( + 13.7%). L’incremento è diffuso su tutto il territorio e interessa in particolare i giovani ricompresi nella fascia di età dai 20 ai 30 anni. Il 55.7% dei disoccupati cerca lavoro da più di un anno. Quanto alle forme contrattuali l’Istat mostra come non si sia ancora arrestato il calo degli occupati a tempo pieno (-3.4% pari a – 644.000 unità rispetto al secondo trimestre 2013 ), che in quasi metà dei casi riguarda i dipendenti a tempo indeterminato (- 2.5.% pari a -312.000 unità).
Gli occupati a tempo parziale aumentano in misura minore rispetto al recente passato (1.5.% pari a + 59.000 unità); la crescita, rileva l’Istat riguarda solo il part time involontario. E’ proprio da questo scenario sconfortante che si auspica e si accoglie con favore, sebbene si attendano ancora le modalità esecutive del Governo, la proposta del Premier Renzi di voler ridisegnare il sistema scolastico italiano per il rilancio dell’occupazione giovanile. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi durante un incontro con il Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, ha annunciato: “Inizieremo un percorso di radicale riflessione sulla scuola, con particolare attenzione alla scuola media, all’autonomia e al rapporto formazione lavoro”. Renzi, oltretutto ha già detto che con la Legge di stabilità “stanzierà un miliardo alle scuole”.
Scuola e lavoro sono due mondi che dovrebbero incrociarsi sempre per garantire una solida formazione e occupazione ai futuri lavoratori ma che spesso viaggiano su binari paralleli, incontrandosi solo in rare e insufficienti occasioni. In un momento in cui tutti si affannano a trovare idee nuove una soluzione concreta è individuabile nella effettiva diffusione di due strumenti che già esistono: il contratto di apprendistato e l’alternanza scuola lavoro. Quest’ultimo costituisce uno strumento privilegiato per creare un “dialogo virtuoso” fra mondo imprenditoriale e scuola.
Cos’è l’alternanza scuola lavoro? Prevedere dei percorsi di alternanza scuola lavoro significa realizzare corsi di formazione all’interno dei cicli di studi, sia nel sistema dei licei sia nell’istruzione professionale. Esso intende fornire ai giovani, oltre alle conoscenze di base, quelle competenze necessarie per inserirsi nel mercato del lavoro, alternando le ore di studio ad ore di formazione in aula e ore trascorse all’interno delle aziende, per garantire loro esperienze sul “campo” e superare il gap “formativo” fra mondo del lavoro e mondo accademico in termini di competenze e preparazione: uno scollamento che spesso caratterizza il sistema italiano e rende difficile l’inserimento lavorativo una volta terminato il ciclo di studi.
Le competenze acquisite costituiscono credito sia ai fini della prosecuzione del processo scolastico o formativo per il conseguimento del diploma o della qualifica, sia per il passaggio fra gli eventuali sistemi ivi compresa l’eventuale transizione nei percorsi di apprendistato. Essi sono resi possibili dalle istituzioni scolastiche sulla base di apposite convenzioni stipulate con imprese, camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura terzo settore che sono disposti ad ospitare lo studente per il periodo dell’apprendimento.
L’alternanza scuola lavoro può essere uno strumento ulteriormente valido se coordinato con il contratto di apprendistato. Con il decreto legislativo n. 276/2003 ( cd “Legge Biagi”) l’apprendistato diventa l’unico contratto di lavoro a contenuto formativo presente nel nostro ordinamento, fatto salvo l’utilizzo del contratto di formazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni.
L’apprendistato proposto dalla Legge Biagi si divide in tre tipi: il primo dedicato ai giovanissimi (per il diritto–dovere d’istruzione e formazione con una durata massima tre anni), il secondo detto “professionalizzante” (per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale con una durata variabile da due a sei anni) e il terzo per percorsi di formazione di alta formazione e ricerca (specificatamente pensato a chi sta facendo l’università o altra forma di specializzazione).
La forza e la peculiarità del contratto di apprendistato è racchiusa nella formazione. L’apprendistato privo di formazione non è utile a nessuno! La legge ci consente di reclutare giovane forza lavoro a basso costo, anche in virtù di generosi incentivi economici e normativi proprio attraverso un contratto di apprendistato facile (privo di gravosi adempimenti amministrativi). Per alcuni imprenditori basterebbe solo questo per fare decollare l’apprendistato!
Per quanto concerne la formazione, la valenza educativa e formativa trova ragione nel fatto che il requisito della formazione è connaturata al contratto e ne giustifica il basso costo. Apprendere in azienda significa apprendere con modalità e strumenti specifici, come specifica è la relazione di apprendimento che si instaura fra apprendista e impresa nel percorso di formazione che lo condurrà alla qualifica di destinazione. E’ necessario, quindi, un cambiamento culturale che faccia superare radicate convinzioni che vedono l’apprendere separato dal mettere in pratica. Tale obiettivo può essere raggiunto in Azienda, luogo ideale dove fare coincidere lavoro pratico e formazione.
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