Foto divulgata su Facebook dal ministro egiziano
Il governo egiziano smentisce se stesso sul caso Giulio Regeni. Il viceministro aggiunto dell’Interno Abou Bakr Abdel Karim ha chiarito che il ministero non avrebbe mai detto che lo studente italiano sia stato ucciso dalla gang di rapinatori sgominata il 24 marzo. Eppure in quell’occasione il ministro dell’Interno lo aveva insinuato, divulgando su Facebook la foto del passaporto di Regeni ritrovato nel covo. Una versione smentita dai parenti del capo della gang e mai presa sul serio dalle autorità italiane.
Il 4 aprile il dietrofront ufficiale con le parole del viceministro durante un’intervista telefonica mandata in onda dalla trasmissione Al-Haya Al Youm, sulla rete satellitare Al Haya. Il ministero, secondo Karim, non avrebbe mai detto che la banda di rapinatori “fosse responsabile dell’assassinio” di Giulio Regeni. “La ricerca delle persone coinvolte nella sua uccisione è ancora in corso”, ha aggiunto. Insomma, il ministero smentisce se stesso. Ripercorriamo la storia della banda di rapinatori e le reazioni del governo italiano e della famiglia Regeni.
La vicenda della banda di rapinatori
A due mesi esatti dal ritrovamento del corpo martoriato di Giulio Regeni, il 25 marzo scorso, è arrivata l’ultima versione dal Cairo. Sarebbe stata sgominata una banda di malviventi legata all’omicidio di Giulio Regeni. La notizia, riportata dal ministro dell’Interno egiziano, è stata presa subito con le pinze. Una svolta nelle indagini sullo studente italiano ucciso al Cairo, o l’ennesimo depistaggio per tutelare il governo egiziano dal sospetto di delitto politico? Di certo, appare comodo accusare della morte del ricercatore persone che sono state uccise e che non potranno certo difendersi o spiegare cosa è accaduto davvero.
La verità sull’omicidio Regeni (qui la ricostruzione della vicenda e tutti i depistaggi) sembra ancora lontana. Gli inquirenti italiani restano scettici sulle ultime informazioni del ministro dell’Interno egiziano. Informazioni diffuse tra comunicati ufficiali e quotidiani locali filogovernativi. In un primo comunicato, si informa che la sera di giovedì 24 marzo la polizia ha ucciso cinque criminali in una sparatoria nel quartiere periferico di Nuova Cairo. Si tratta di una gang “specializzata nel sequestro di stranieri”, con addosso uniformi della polizia “per fingersi agenti”. Ancora nessun riferimento allo studente.
A scrivere per primo che la banda “è dietro all’uccisione dell’italiano Giulio Regeni” è il quotidiano Al-Ahram. A notte fonda il ministro egiziano divulga un secondo comunicato in cui conferma tutto: a prova di ciò il ritrovamento del passaporto di Regeni a casa della sorella di uno dei banditi, che nascondeva anche i bottini di varie rapine. Questo è quanto riporta il comunicato: “I servizi di sicurezza hanno trovato nell’appartamento un handbag rosso sul quale è stampata la bandiera italiana e all’interno c’è un portadocumenti di colore marrone nel quale si trova il passaporto recante il nome di Giulio Regeni, nato nel 1988, il suo documento di riconoscimento (ID) dell’università americana con la sua foto sulla quale c’è scritto in lingua inglese `assistente ricercatore´, il suo documento di Cambridge, la sua carta Visa e due telefoni portatili”. Vicino ai documenti di Regeni è stato trovato “un portafogli femminile con la parola `love´ nel quale si trovano 5 mila Sterline egiziane, un pezzetto di materiale scuro che potrebbero essere 15 grammi di cannabis, un orologio”.
“La residenza, nel governatorato di Qalyubiyya della sorella del principale accusato, che si chiama Rasha Saad Abdel Fatah, 34 anni, è stata presa di mira perché le indagini hanno dimostrato che lui andava da lei di tanto in tanto” prosegue il comunicato. Cosa si vuole insinuare? Che Regeni frequentasse la ragazza, sapendo della sua complicità con dei banditi? Non è la prima volta che si prova a macchiare la reputazione del ragazzo.
Restano dubbi sull’ennesima verità del governo egiziano. Innanzitutto, perché seviziare a morte un ragazzo che si voleva solo derubare? E poi non occorre essere esperti di tecniche utilizzate dai regimi per oscurare le indagini, per capire che il passaporto di Regeni può essere finito a casa della ragazza solo dopo la morte dei cinque banditi. Banditi che non sono più in grado di difendersi e negare, ad esempio, di aver mai incontrato Regeni.
Procura smentita, l’ira di Renzi
La Procura egiziana viene smentita dai parenti del capo della gang accusata della morte di Giulio Regeni e i rapporti tra l’Egitto e l’Italia si fanno sempre più tesi. La sorella e la moglie di Tarek Abdel Fatah, il capobanda ucciso con 4 membri della stessa dalla polizia locale, sono state interrogate dagli inquirenti e hanno insistito più volte: il borsone con i documenti di Regeni era stato portato a casa circa cinque giorni prima del blitz. La loro versione coincide con quella delle autorità italiane: quella borsa non era del giovane ricercatore. Come ne siano entrati in possesso e perché è ancora tutto da chiarire, ma l’ennesimo tentativo di dare una verità di comodo ha provocato il fastidio delle istituzioni che hanno reagito a più livelli, a partire dal premier Matteo Renzi. “L’Italia non si accontenterà di nessuna verità di comodo“, ha scritto il premier nella consueta e-news che ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra i due paesi. “Proprio per potremo fermarci solo davanti alla verità. Non ci servirà a restituire Giulio alla sua vita. Ma lo dobbiamo a quella famiglia. E, se mi permettete, lo dobbiamo a tutti noi e alla nostra dignità“.
Ministro degli Esteri egiziano: ‘Caso isolato’
L’irritazione italiana per l’ennesimo tentativo di depistaggio deve esser arrivata a destinazione se dal Cairo arriva la risposta del ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry. “Il nostro paese vuole lavora con trasparenza e vuole collaborare a fondo con l’Italia: non abbiamo alcun interesse nascosto“, ha dichiarato al quotidiano Al-Youm. “L’Italia è un partner importante: ciò che sta accadendo è un caso isolato. Non merita questa esagerazione anche se è una realtà da affrontare“, ha aggiunto.
La reazione della famiglia di Regeni
“Siamo feriti e amareggiati” da una “oltraggiosa messinscena“. Anche la famiglia di Giulio Regeni reagisce all’ultima versione dell’Egitto sulla morte del giovane ricercatore italiano e con loro anche il governo italiano che chiede verità e non depistaggi o soluzioni di comodo. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni lo scrive su Twitter. “L’Italia insiste, vogliamo la verità“, così come la ministra della Difesa, Roberta Pinotti che conferma la volontà delle autorità italiane di rimanere a fianco della famiglia. I familiari di Regeni affidano il loro pensiero a una nota. L’ultima versione arrivata dal Cairo è solo “l’ennesimo tentativo di depistaggio da parte delle autorità egiziane sulla barbara uccisione di nostro figlio Giulio che, esattamente due mesi fa, veniva rapito al Cairo e poi fatto ritrovare cadavere dopo otto giorni di tortura“. La reazione delle istituzioni non si è fatta attendere. Il procuratore Giuseppe Pignatone, che coordina gli investigatori italiani al Cairo, ha bollato come “non idonei” i nuovi elementi e conferma la necessità di continuare le indagini, sollecitando, per l’ennesima volta, la Procura generale del Cairo a trasmettere “le informazioni e gli atti, da tempo richiesti e sollecitati, e altri che verranno richiesti al più presto in relazione a quanto prospettato ai nostri investigatori“.
I genitori di Giulio si dicono “certi della fermezza con la quale saprà reagire il nostro Governo a questa oltraggiosa messa in scena che peraltro è costata la vita a cinque persone, così come sappiamo che le istituzioni, la nostra procura ed i singoli cittadini non ci lasceranno soli a chiedere ed esigere verità. Lo si deve non solo a Giulio ma alla dignità di questo Paese“.
#Regeni Italia insiste: vogliamo la verità
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) 25 marzo 2016