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Giuramento della ‘ndrangheta, cosa vuol dire il testo?

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«Buon vespero e santa sera ai santisti! Giustappunto questa santa sera, nel silenzio della notte e sotto la luce delle stelle e lo splendore della luna, formo la santa catena! Nel nome di Garibaldi, Mazzini e Lamarmora, con parole d’umiltà, formo la Santa Società». Di santo in realtà non ha proprio nulla la ‘ndrangheta che, con questa formula, fa giurare fedeltà all’organizzazione a un giovane che diventa “santista” e assume quindi un ruolo di rilievo criminale. Ma perché il giuramento avviene nel nome di Garibaldi, Mazzini e La Marmora, che di calabrese non hanno proprio nulla?

Durante il Regno della Due Sicilie la Calabria, benché più industrializzata e ricca di quanto non lo sia oggi, era ritenuta dall’allora classe dirigente-nobiliare, quasi interamente napoletana visto che quella era la capitale, (la nobiltà siciliana è sempre stata molto chiusa all’interno dell’isola, dove ha concentrato i suoi affari) una terra periferica e di sfruttamento.

Lì, infatti, la maggior parte dei feudi erano nelle mani delle famiglie patrizie napoletane che mai vi si recavano se non per andare a esigere la loro parte di raccolto o di tributi, e quindi in momenti in cui sicuramente risultavano “poco graditi” ai calabresi che, quelle terre, avevano duramente lavorato.

Anche con l’industrializzazione, che iniziò con lo sfruttamento delle miniere di ferro e di grafite, la Calabria rimase una terra di sfruttamento: lì furono collocati, ad esempio, i più importanti impianti siderurgici, ma il meccanismo rimase lo stesso, all’epoca (e forse in alcuni casi ancora oggi) diffuso in tutti i Paesi. In Calabria le fabbriche e i lavoratori, nella Capitale i proprietari e i soldi. D’altra parte l’accentramento dei capitali è sempre stato una costante dei vari Stati e dei vari governi (si pensi alle condizioni di sottosviluppo in cui la Torino capitale teneva la Sardegna).

I calabresi furono, dunque, fra i primi a credere nella speranza unitaria come illusione di liberazione dallo sfruttamento nobiliare e quindi di emancipazione delle classi meno abbienti, più che con veri sentimenti patriottici e unitari. I garibaldini, infatti, avevano promesso la distribuzione delle terre che di sicuro ingolosì i contadini calabresi e non solo quelli.

Così personaggi come Giuseppe Mazzini, genovese, Giuseppe Garibaldi, metà francese e metà piemontese, e Alfonso La Marmora, torinese, diventarono inizialmente personaggi eroici per i calabresi, veri e propri punti di riferimento che, contrapponendosi allo Stato costituito, assunsero le sembianze del riscatto della Calabria.

Un sentimento che deve aver condizionato anche quelle bande criminali che poi, con il tempo, si sono organizzate e hanno costituito la ‘ndrangheta come la consociamo oggi. Il giuramento, infatti, sicuramente deriva da un passato lontano in cui la ‘ndrangheta non era quello che è oggi, ma qualcosa di più rozzo, rurale e tradizionale. Non a caso la ricostruzione storica della ‘ndrangheta si fa partire proprio dalla seconda metà dell’Ottocento (e quindi in concomitanza con l’Unità d’Italia) in vari paesi della provincia di Reggio Calabria, come un’organizzazione criminale di tipo rurale con riti di iniziazione e codici che ne definiscono le regole.

Un sentimento che forse in un certo qual modo resiste anche oggi, se quel giuramento non è minimamente stato modificato e che in fondo trova un riscontro nell’opposto: se i camorristi sono tradizionalmente antiunitari e addirittura neoborbonici (Secondo alcune fonti Francesco Schiavone avrebbe una libreria sul risorgimento italiano e la questione meridionale da far invidia a molti storici) e sfruttano come legittimazione alla loro attività criminale il ruolo egemone che Napoli aveva in Italia e in Europa durante il Regno delle Due Sicilie, è plausibile che gli ‘ndranghetisti vogliano in qualche modo mantenere un legame con quell’illusione di riscatto che Mazzini, Garibaldi e La Marmora incarnavano. In entrambi i casi è un modo per attirarsi le simpatie della popolazione locale e soprattutto porsi come lo Stato legittimo che ancora oggi difende le loro istanze.

La verità storica, però, è che quella fu soltanto un’illusione di riscatto e in realtà si rivelò un peggioramento della situazione della Calabria che, se prima era una terra periferica, ma di lavoro e di industrializzazione, divenne soltanto una zona di sfruttamento e di disoccupazione. L’unità d’Italia, infatti, tradì le aspettative dei calabresi e di molti altri meridionali, impoverì le zone ricche del regno duosiciliano e quindi a maggior ragione quelle povere. Da che doveva essere un’occasione per il Sud, si è trasformata in un vero e proprio danno che ancora oggi ne condiziona l’economia e lo sviluppo, proprio come la ‘ndrangheta condiziona l’economia e lo sviluppo della Calabria e non solo. E quindi oggi quel giuramento assume un nuovo valore di assonanza fra ‘ndranghetisti e garibaldini: entrambi distruggono il Sud.

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Fabrizio Capecelatro

Fabrizio Capecelatro è stato un redattore interno di Nanopress fino al 2018. Si è occupato di politica e cronaca, con particolare riguardo a tematiche incentrate su criminalità organizzata e camorra. Su temi di attualità e di cronaca criminale ha scritto anche su Pourfemme.

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