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Politica

Gli eredi di Draghi lottano per conquistare il centro politico in Italia

Una costellazione di piccoli partiti moderati che rivendicano l’eredità del presidente del Consiglio, Mario Draghi, cerca di essere decisiva alle elezioni e di contrastare la coalizione delle tre forze di centro destra.

Carlo Calenda, leader di Azione – Nanopress.it

L’inizio degli anni ’90 chiude un’era politica in Italia. Lo scandalo della corruzione di Mani Pulite – con 2.600 imputati e 1.408 condanne – ha dato origine ai fenomeni che oggi segnano l’agenda del Paese. E seppellì anche la Democrazia Cristiana, un monumentale manufatto politico che regnò per 40 anni in bilico sulla piastrella centrale. La sua decomposizione ha permesso la nascita di numerosi partiti e l’irruzione di un’organizzazione antipolitica chiamata Movimento 5 Stelle (M5S), che avrebbe vinto le elezioni del 2018.

L’Italia cerca un baricentro politico permanente, come direbbe Franco Battiato.

Ora, 30 anni dopo, una nuova costellazione di piccoli partiti si è separata dalle grandi forze rivendicano ancora una volta uno spazio centrale, moderato e filoeuropeo. Un luogo che bilancia il peso della destra populista che guida le urne e che invoca l’eredità e il programma incompleto del presidente del Consiglio uscente Mario Draghi.

Un baricentro politico permanente, come direbbe Franco Battiato. La questione è determinare il peso che avranno. L’operazione, che alcuni hanno già chiamato il grande Patto Repubblicano, è in corso e risponde a due fattori principali. In primo luogo, alla conquista di uno spazio ideologico orfano che, secondo i sondaggi, rappresenta circa il 16% degli elettori. Un luogo da cui nella maggior parte dei paesi si vincono solitamente le elezioni.

Ma soprattutto si spiega con la necessità di formare una grande coalizione per competere con quella di destra, composta da Fratelli d’Italia, Forza Italia e La Lega. La legge elettorale italiana, basata su un sistema maggioritario, premia questo tipo di unioni fatte prima delle elezioni. Il problema è che funzionerebbe solo se ci fosse un accordo tra tutti quei partiti e se queste formazioni accettassero di correre in coalizione con il Partito Democratico (PD) e il resto della sinistra.

È un conglomerato che sarebbe guidato dal segretario generale del PD, Enrico Letta, e che ricorderebbe con forza l’Ulivo, la grande coalizione progressista formata nel 1995 e guidata da Romano Prodi per confrontarsi con la destra, allora guidata da Silvio Berlusconi. L’universo di questi nuovi partiti è complesso e, a volte, inadatto. Al momento è composto da Italia Viva, la compagine di Matteo Renzi, che molti preferirebbero non avere come compagno di viaggio.

Poi spicca Azione (dall’ex ministro Carlo Calenda), il capo visibile di questa avventura; anche l’esperimento del ministro degli Esteri ed ex leader del M5S, Luigi Di Maio, con Insieme per il Futuro, che intende stringere una grande alleanza con i sindaci; L’Italia al centro, creata dal governatore della Liguria, Giovanni Toti; e ancora + Europa, la formazione di Emma Bonino, storica leader del Partito Radicale.

Cercare di convincere Draghi a presentarsi come candidato premier

Un altro di questi piccoli marchingegni elettorali è il Centro Democratico, ideato dall’ex presidente della Lombardia Bruno Tabacci. Ma la fusione è ora così orizzontale che nemmeno questo vecchio democristiano è stato in grado questo mercoledì di dare una chiara spiegazione di ciò che intendono. La realtà, tuttavia, non sembra così difficile da decifrare ora. Il Movimento 5 Stelle, indicato come una delle forze che hanno fatto cadere l’Esecutivo di Draghi, sarebbe escluso dal progetto e dovrà trovare una vita da solo. Nessuno vuole essere in coalizione con loro oggi.

Mario Draghi – Nanopress.it

I grillini sono gli artefici dello stato di confusione creatosi negli ultimi 15 anni tra i due grandi blocchi che sono sempre esistiti nella politica italiana, tanto che ora potrebbe tornare a uno schema binario: il mondo moderato e progressista contro il populista di destra. Il progetto è stato concepito tenendo conto della legge elettorale.

Ma anche per la necessità di tornare su un grande fronte che possa competere con la burrasca da destra. “La scelta alle elezioni del 25 settembre è chiara: o noi o [Giorgia] Meloni [il leader dei Fratelli d’Italia]”, ha detto la scorsa settimana Letta, rivelando la sua strategia elettorale.

Forza Italia, fondata da Silvio Berlusconi nel 1993, reclamò per anni spazio al centro e si arruolò nel Partito popolare europeo. Tuttavia, Il Cavaliere fu piuttosto l’inventore di tante correnti populiste che si sarebbero cristallizzate decenni dopo nel mondo politico. La sua avidità di potere lo portò a stringere alleanze con l’estrema destra e con i partiti indipendentisti del nord.

La sua ultima apparizione, quella di sostenere il rovesciamento dell’Esecutivo, gli è costata una parte importante del suo partito, per mettere in discussione il suo corso e rivendicare radici centriste che cercheranno fuori casa.

I tre ministri che facevano parte dell’Esecutivo, tre pesi massimi di Forza Italia come Renato Brunetta, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, hanno già rotto la tessera. E si prevede che nelle prossime ore si uniranno a una compagine come quella di Azione. Nel PD non vedono una possibile alternativa e vogliono che si raggiunga un accordo con quel gruppo (tranne con Renzi, che potrebbe starne fuori).

I tre ministri di Forza Italia che facevano parte dell’Esecutivo, Brunetta, Carfagna e Gelmini, hanno già rotto la tessera

“Se quei partiti corressero da soli, ci farebbero perdere alcune seggi [elettorali]. La cosa migliore per tutti è trovare un accordo. Soprattutto con Calenda e Bonino. Dovremo fare una campagna perfetta. E anche allora riusciremmo a ridurre la distanza solo con la destra. Non è cosa da poco, perché almeno avrebbero più difficoltà a governare con la Corte costituzionale e il Palazzo del Quirinale contro di loro”, dice un deputato del PD con poche speranze di superare i suoi rivali.

Giuseppe Conte – Nanopress.it

I negoziati si svolgono nelle ultime ore contro il tempo, perché tutto questo spettro dovrebbe presentare un programma elettorale congiunto e distribuire i collegi elettorali per poter concorrere in una coalizione. La chiave sarà anche quanto queste parti possono contribuire in termini numerici.

Antonio Noto, presidente della società elettorale Noto Sondaggi, ritiene che “il problema non sia dichiararsi centrodestra, ma acquisire una posizione veramente centrale”. “Devono rilevare e rispondere a questioni interessanti per quegli elettori. E guarda quanti voti possono essere catturati dalle forze che hanno abbandonato quello spazio.

Ora vedo un’affermazione, ma priva di contenuti che li porta davvero al centro. Naturalmente, insieme possono essere superiori al 10% dei voti. Ma non è chiaro se poi gli elettori che si dichiarano di centrosinistra voteranno per quello spazio”, aggiunge.

La corsa elettorale è iniziata e la destra ha un vantaggio troppo grande. La coalizione di centro – o il Patto repubblicano, se si preferisce – sembra ormai l’unico modo per mitigare un risultato che sarebbe catastrofico per il centrosinistra. Una strategia che dovrà portare alla luce uno spazio ideologico che è stato dormiente per decenni.

Paolo Battisti

Giornalista Pubblicista dal 2013. Amo la storia e mi occupo di politica estera

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