L’esordio mondiale dell’Argentina, come ben si sa, non è andato nel migliore dei modi. Il rigore di Lionel Messi, all’ultima spiaggia per alzare il trofeo più importante con la sua Nazionale, non è bastato all’Albiceleste per battere l’Arabia Saudita, che nel secondo tempo ha rimontato i campioni di Lionel Scaloni. Incubo, disfatta sono stati i termini più utilizzati per raccontare cosa è successo ieri a Lusail. Eppure, gli “eroi” nazionali sauditi possono vantare dei contratti, con le loro squadre di club, non di certo da terza categoria.
Salem Al-Dawsari, l’uomo che ha punito Messi & Co., per dire, guadagna con l’Al-Hilal poco più di tre milioni di euro l’anno. Certo, sia chiaro, arrivare allo stipendio della Pulce è pura utopia, e praticamente per qualsiasi giocatore al mondo, eccetto qualche suo compagno di squadra al Paris Saint-Germain (leggasi Kylian Mbappé), ma ecco: sottovalutarli è stato un errore, sotto tutti i punti di vista.
L’Argentina di Lionel Scaloni e, soprattutto, di Lionel Messi è arrivata in Qatar, per giocarsi i Mondiali, con molte aspettative addosso. L’attaccante del Paris Saint-Germain, una vita passata al Barcellona, è alla sua ultima edizione della coppa del mondo, e per dimostrare che è stato, è e sarà grande quanto Diego Armando Maradona deve riuscire a vincere quello che il Pipe de oro ha vinto con la sua Nazionale, che poi è la stessa.
Non sono certamente le pressioni, però, che non hanno consentito all’Albiceleste di vincere all’esordio nel Paese mediorientale: tra fuorigioco segnalati male e una difesa impenetrabile, la prima partita è stata un flop. Ed è stato un peccato, specialmente perché gli avversari erano, sulla carta, i più deboli del girone e vincere sarebbe servito a scrollarsele di dosso, quelle pressioni.
Infatti, al contrario, per l’Arabia Saudita, la Nazionale che è riuscita a batterli e a spezzare la striscia di 36 risultati utili del commissario tecnico ex Lazio – un record che rimane ancora dell’Italia di Roberto Mancini -, la vittoria in rimonta è stata una gioia così grande, e inaspettata, che persino il re Salman ha indetto una festa nazionale per celebrare gli “eroi” di Lusail con scuole chiuse e lavoratori a casa.
Di fatto, però, era davvero così impronosticabile una vittoria degli uomini di Hervé Renard? A giudicare dagli stipendi dei calciatori, era sì, molto improbabile, ma non è stata neanche un miracolo, ecco. Non che guardare al portafoglio delle persone sia un ottimo parametro per capire se e quanto valgono, ma nel calcio, soprattutto nel calcio, più un giocatore viene pagato, più farà guadagnare soldi ai proprietari di club, o almeno dovrebbe essere così. E quindi, come vale per la Pulce, vale anche per chi ieri ha compiuto l’impresa di batterlo.
Nella Lega saudita professionistica, per dire, gli ingaggi dei calciatori sono al livello di quelli del calcio europeo se non, in alcuni casi, anche superiori, soprattutto se si considera il valore tecnico dei professionisti in campo. Il giocatore più pagato, per ironia della sorte, è un argentino, Ever Banega, che dall’Al-Shabab guadagna quasi 10 milioni di euro.
Tra le stelle, invece, di casa propria, il calciatore che prende di più è anche l’uomo che ha ribaltato l’Argentina: Salem Al-Dawsari. Il centrocampista, 31 anni compiuti ad agosto, milita nella squadra che ha vinto più “scudetti” (18), l’Al-Hilal, e percepisce un salario di poco più di tre milioni l’anno. Abdullah Otayf e Salman Al-Faraj, che sono due suoi compagni di squadra, guadagnano invece 2,5 milioni di euro, che pochi non sono.
Che in Arabia Saudita, tra l’altro, ci siano pochi problemi nell’investire nel calcio professionistico è dimostrato anche dal fatto che i primi cento calciatori più pagati del massimo campionato fanno sborsare ai proprietari di club 139 milioni di euro lordi l’anno, tanto di più rispetto alle altre leghe del continente e sicuramente di più rispetto al torneo dell’oratorio.
Da non sottovalutare, poi, ci sono gli investimenti che gli emiri, anche il principe ereditario, Mohammed bin Salman, stanno facendo in giro per l’Europa. Pif, il fondo sovrano saudita, lo scorso anno ha comprato il Newcastle, in Premier League, e la squadra, dall’ultimo posto in classifica dello scorso anno, è salita in questa stagione al terzo posto, praticamente subito dopo l’Arsenal e il Manchester City, e molto davanti al Liverpool. Non solo, perché lo stesso fondo aveva messo gli occhi addosso anche all’Inter in Italia.
Naturalizzare i giocatori che militano nelle loro squadre di club è piuttosto difficile, per non dire quasi impossibile, ma non si può non considerare che, con un allenatore capace, e (ancora) investimenti importanti nel settore, il movimento calcistico non possa crescere ulteriormente e arrivare, un giorno, a rendere prassi battere l’Argentina di Messi. Che ora, sì, è una batosta, un incubo, quasi una vergogna soprattutto per quel numero dieci che ha vinto sette Palloni d’oro.
E non è un caso che questo sia successo proprio in Qatar, parenti serpenti dei sauditi. La geografia del mondo del pallone sta cambiando: i più forti, a vedere i numeri, sul campo hanno bisogno dei soldi dei più deboli per poter brillare. Senza strutture, ma solo con la storia che li precede ci fanno ben poco. E questo non significa che il livello della lega professionistica dell’Arabia Saudita sia uguale o superiore a quello delle squadre sudamericane, ma è un dato di fatto che, nel prossimo decennio, con molte più iniezioni il gap si potrebbe ulteriormente ridurre.
Poi sì, c’è l’esempio della Cina, lanciata come gli arabi nel calcio, che poi, però, ha dovuto fare marcia indietro con l’avvento della pandemia da Covid, con i rubinetti che sono stati chiusi.
Intanto resta il fatto che l’Albiceleste è stata battuta, e che loro hanno vinto. Ma il cammino è così lungo, ancora, che vedere finalmente Messi alzare al cielo la coppa del mondo è tutto meno che un’utopia, anche perché una singola partita, per quanto sfortunata e maledetta sia stata, non cambia le cose e i pronostici iniziali.
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