L’imprenditore dell’economia circolare però è un innovatore “solitario” che crea sviluppo in sinergia con gli enti di ricerca, crea lavoro e nuove professionalità, senza godere di un adeguato sostegno economico, normativo e d’impresa. E’ quanto emerge dall’indagine “Opportunità di Business e di innovazione dell’economia circolare e l’industria 4.0” realizzata dal Dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università di Padova e Legambiente. Sotto la lente di ingrandimento sono finite le prime 50 imprese tra le 231 identificate tra quelle manifatturiere che praticano l’economia circolare.
L’economia circolare offre ampi spazi alle imprese per ripensare il proprio modo di innovare e di competere e in questo percorso un ruolo decisivo lo possono dare le tecnologie ricomprese nell’ambito di Industria 4.0, dalla manifattura additiva all’Internet delle cose (IoT).
L’importanza di recuperare le risorse
In particolare, dal rapporto emerge che il principale modello di business praticato è legato al recupero delle risorse (per 30 imprese, pari al 61,2%) o alla fornitura di input di natura circolare (15 imprese, 31,6%). Le principali motivazioni sono di natura etica e di responsabilità sociale d’impresa (89,6%) ovvero legate al mercato (aumento del valore del prodotto offerto, 81,2%), mentre il principale beneficio conseguito è legato al miglioramento della reputazione aziendale (86,6%).
Investimenti e aggiornamenti
Le imprese hanno investito soprattutto nelle attività di marketing e commerciali (61,7%) e nelle attività di ricerca e sviluppo e rinnovo del proprio portafoglio prodotti (47,9%). Il 52% delle imprese dichiara che l’occupazione è aumentata a seguito dell’adozione di pratiche di economia circolare, attraverso sia l’assunzione di nuove figure professionali tecniche sia l’aggiornamento delle risorse interne (tecniche e amministrativo/gestionali).
L’investimento sul fronte dell’economia circolare è avvenuto in prevalenza con capitale proprio per l’80% delle imprese, attraverso la collaborazione con fornitori di materiali (57,8%) e università o centri di ricerca pubblici (48,9%), mentre risulta molto minoritario il ruolo di altri attori istituzionali (es. associazioni di categoria).
Il 25% delle imprese investe in una o più tecnologie industria 4.0, prevalentemente per motivazioni di mercato (miglior servizio al cliente). L’impatto maggiore di tali tecnologie sul fronte ambientale riguarda la capacità di misurare e monitorare gli input utilizzati, grazie al ruolo giocato in particolare da soluzioni connesse a big data e cloud.
Cosa va migliorato
Le principali difficoltà non sono di natura tecnologica, quanto piuttosto legate ad una legislazione inadeguata o contraddittoria (48,9%) oppure connesse al prezzo dei prodotti “circolari” realizzati (48,9%), in cui il mercato spesso non è in grado di riconoscere, e quindi essere disposto a pagare, il reale valore, basato non solo su risorse che sono riutilizzate o riciclate (quindi apparentemente a basso costo), ma anche ad un vero e proprio processo di innovazione che ne sta alla base.
In collaborazione con AdnKronos