In Iran diverse studentesse sono state avvelenate. Il motivo? Hanno protestato contro il regime e poi dovevano essere tenute lontano dalla scuola. Questo in pratica rientra nel mare magnum dei tentativi da parte del regime di placare le proteste, che continuano in tutto il Paese (anche se c’è chi afferma con meno insistenza rispetto a qualche mese fa).
Le proteste in Iran contro il regime continuano. Ma continuano al contempo anche le repressioni delle stesse. Gli ultimi avvenimenti – anzi, gli ultimi avvelenamenti dovremmo dire – parlano chiaro.
Le studentesse avvelenate in Iran
Attualmente i problemi in Iran sono due (anzi, diciamo che i principali sono due): il primo è il regime teocratico, il secondo è l’alleanza con Mosca. Che c’è, ma non si vede, perché se ne parla troppo poco.
Sul primo punto torneremo tra poco, perché merita un approfondimento particolare, del secondo partiamo subito, perché c’è poco da dire, ma quel poco dice tutto. Di recente William Burns, il direttore della Cia, in un’intervista alla Cbs ha lanciato un allarme: pare che il programma nucleare iraniano stia avanzando sempre di più e sempre più velocemente soprattutto. E già questo è preoccupante a dir poco.
A tutto ciò dobbiamo poi aggiungere che tra Mosca e Teheran ormai è nata una cooperazione militare che sembra pericolosa e lo è. A quanto pare in pratica all’Iran “bastano solo poche settimane per arrivare ad arricchire l’uranio al 90% e oltre” (basti pensare che per ottenere un’arma atomica è sufficiente che il cosiddetto weapon-grade arrivi anche solo all’85%). Sia chiaro: attualmente il Paese appare ancora lontano dal poter sviluppare un’arma vera e propria, ma i suoi progressi sono da monitorare e osservare.
Ma non solo, perché, come ha affermato Burns, gli USA sono preoccupati per la collaborazione militare tra la Russia e l’Iran: la prima sta valutando l’invio di aerei da combattimento nella seconda, che a sua volta sta continuando a mandare alla prima sempre più armi. La loro cooperazione “si sta muovendo rapidamente in una direzione molto pericolosa. (…) “Ciò crea rischi evidenti non solo per il popolo ucraino – e ne abbiamo già visto le prove – ma anche rischi per i nostri amici e partner in tutto il Medio Oriente”. Se dovessero arrivare questi aerei da combattimento cosa accadrebbe? A voi le considerazioni.
Nel frattempo, come dicevamo, vi è un altro nodo da sciogliere: quello della repressione, a cui il popolo iraniano sta dicendo basta. Sì, ma a che prezzo? A quello che hanno pagato le studentesse avvelenate di recente (di cui avevamo già parlato qui). Ecco gli ultimi aggiornamenti.
Gli ultimi aggiornamenti: una studentessa è morta?
Per comprendere esattamente cos’è accaduto, dobbiamo tornare a qualche tempo fa. Tutto è partito circa tre mesi fa: alcune studentesse iraniane avevano denunciato strani odori nelle scuole. Improvvisamente poi, pochissimo tempo dopo, non a caso, si sono ammalate. All’epoca questo riguardò ben 18 allieve della città di Qom, divenuta simbolo indiscusso dello sciismo radicale e in cui a quanto pare è nato un gruppo chiamato “Millenium”. Tutte loro avevano gli stessi sintomi: mal di testa, nausea, tosse, dolori sparsi e intorpidimento degli arti superiori e inferiori. Da lì, una serie di casi si è registrato anche nella città di Borujerd ed è scoppiato il putiferio letteralmente.
La situazione in realtà è molto chiara: da un lato c’era la chiara volontà di bloccare la loro attività di protesta contro l’hijab obbligatorio, dall’altro quella di chiudere le scuole femminili. Tanto le donne in Iran hanno pochi diritti, ma molti doveri, la scuola non rientra nei secondi, può essere eliminata dalla lista di cose che devono fare (naturalmente non lo pensiamo noi).
Se doveste avere dei dubbi al riguardo, basti pensare che il viceministro dell’istruzione iraniano, Younes Panahi, ha detto solo un paio di giorni fa ai giornalisti: “Dopo l’avvelenamento di diversi studenti nella città di Qom si è scoperto che alcune persone volevano che tutte le scuole, specialmente quelle femminili, fossero chiuse”.
Quello che è accaduto è ormai risaputo: a Qom e Borujerd alcune studentesse sono state avvelenate. La Bbc Persian ha parlato di più di 90 studentesse delle scuole superiore recatesi in ospedale con sintomi riconducibili all’avvelenamento, che si aggiungono di fatto a Negin Abdolmaleki, 21enne universitaria morta dopo averbevuto alcol avvelenato solo pochi mesi fa. Ma sia chiaro: questo fenomeno non riguarda solo le studentesse: anche gli attivisti in carcere sono stati drogati oppure avvelenati per aver preso parte alla proteste: non pensate che vivere dietro le sbarre sia già una punizione, perché non è sufficiente a quanto pare per saziare la fame del regime.
Attualmente le autorità iraniane hanno confermato che stanno indagando sui recenti avvenimenti, ma l’unica nota positiva che pare emersa fino a oggi – lo ha confermato il succitato Panahi – è che “i composti chimici usati per avvelenare le studentesse non sono prodotti chimici di guerra. Queste non hanno bisogno di trattamenti aggressivi e una grande percentuale degli agenti usati è curabile”.
Eppure pare che una di loro sia morta. Nelle ultime ore sui social – soprattutto su Twitter – sta girando questa notizia. La studentessa in questione dovrebbe chiamarsi Fatemeh Rezaei, avere circa 11 anni e frequentare la scuola religiosa più prestigiosa della Repubblica islamica. A quanto pare la sua famiglia sarebbe stata minacciata di non divulgare la notizia, che poi è stata diffusa lo stesso però dai suoi amici.
Le altre ragazzine, invece, dovrebbero essere tutte vive. Ma davvero questo basta per essere una (magra) consolazione? Sapere che quantomeno molte di queste giovanissime donne non dovranno morire per aver urlato al mondo – anzi, al loro Paese natale – quello che vorrebbero dovrebbe bastare? Quando la loro voce sarà abbastanza alta da poter essere ascoltata? Chi lo sa. Forse un giorno. Forse mai.
Nel frattempo il dottor Homayoun Sameyah Najafabadi, membro della commissione sanitaria del parlamento, ha confermato che l’avvelenamento di studentesse “è stato fatto intenzionalmente”. Ma questo lo avevamo già capito, era chiarissimo: il fatto che quasi un centinaio di loro riportasse gli stessi sintomi e che fossero tutte donne, più o meno coetanee, era già stato abbastanza eloquente ed esaustivo.
Sulla scia delle sue parole poi si colloca anche un altro medico, che ha parlato con il Guardian chiedendo di mantenere l’anonimato e quindi anonimato sia. Quest’ultimo, specializzato proprio nel trattamento delle vittime di avvelenamento, ha dichiarato: “Con i dati disponibili, la causa più probabile di questo avvelenamento potrebbe essere un debole agente organofosfato. Anche se alcune delle ragazze avvelenate mostrano un segno di forte sudorazione, salivazione eccessiva, vomito, ipermotilità intestinale e diarrea, l’attacco è stato fatto usando questo agente”. Secondo lui il motivo reale dell’attacco è di “spaventare i manifestanti utilizzando gruppi estremisti islamisti radicali all’interno e all’esterno del Paese. (…) “Vogliono vendicarsi delle studentesse che sono le pioniere delle recenti proteste. (…) Mai prima d’ora ho curato qualcuno che è stato avvelenato con agenti organofosfati. Gli unici casi che ho trattato sono stati i lavoratori esposti a questi agenti nei pesticidi agricoli”.
Il problema è che le ragazze, le studentesse, le donne di tutto il Paese hanno atteso una vita il momento di poter dire no alla loro condizione di sottomissione (di fatto, di questo si tratta senza troppi mezzi termini), per potersi ribellare, per poter cercare di avere un ruolo quantomeno attivo nella vita del Paese. Risulta difficile pensare che tutto questo – che dura da più di cinque mesi ormai – si possa arrestare bruscamente. Se non sono bastati tutti i tentativi recenti del regime di reprimere le proteste – tentativi basati sulla violenza estrema e non aggiungiamo altro – probabilmente non basterà neanche questo. Probabilmente però, è tutto da vedere.
Quello a cui però questi attacchi alla fine hanno portato davvero è tenere lontano le ragazze dalla scuola. Una professoressa di Qom, parlando con Radio Farda, ha affermato che su 250 studenti, solo 50 hanno frequentato le lezioni di recente.
Masih Alinejad, attivista iraniana per i diritti umani con sede a New York, ha affermato in un’intervista rilasciata al Guardian: “Secondo me questo attacco chimico è una vendetta della Repubblica islamica contro le donne coraggiose che hanno rifiutato l’hijab obbligatorio e hanno scosso il “muro di Berlino” di Ayatollah Ali Khamenei. (…) Poiché il regime iraniano dello Stato islamico odia le ragazze e le donne, invito le donne di tutto il mondo, in particolare le studentesse, a essere la voce degli studenti iraniani e chiedo ai leader dei paesi democratici di condannare questa serie di avvelenamenti e di isolare il regime di Khamenei. (…) Io chiamo questo terrorismo biologico, e dovrebbe essere indagato dalle Nazioni Unite. Abbiamo bisogno di un’organizzazione esterna che indaghi il prima possibile”.
In effetti non è solo l’attivista a chiamarlo terrorismo biologico, perché di fatto lo è, anche se, volendo essere estremamente precisi, dovremmo definirlo più che altro bioterrorismo Con questo termine si indica una forma di terrorismo attuata con l’uso di agenti biologici. Notate qualche somiglianza con il caso delle studentesse?