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Google risponde “obbedisco” alla decisione della Corte di Giustizia europea in merito al diritto all’oblio dei cittadini del Vecchio Continente e allestisce con grande repentinità un servizio che consenta di richiedere e ottenere (se tutto è verificato in modo corretto) le info che sono ritenute poco corrette o inesatte. Si potrà sfruttare un modulo da compilare per richiedere la rimozione dei risultati dal motore di ricerca che conta su un volume del 90 per cento di tutte le query europee. Come funziona? Si deve specificare ovviamente il link, spiegare la motivazione, si dovrà allegare una copia del documento di identità digitalizzato (carta d’identità o anche patente) e si dovrà apporre una firma elettronica sul documento. Google promette un controllo “umano” e non via software delle richieste, ma non è ancora chiaro quali saranno le tempistiche di messa in pratica.
Google e il diritto all’oblio richiesto dall’UE
Il contenitore è responsabile del contenuto: ecco l’ennesima conferma che arriva dall’Unione Europea a Google sul diritto all’oblio. Di cosa stiamo parlando? Della possibilità garantita a ogni cittadino di poter richiedere la rimozione di link che risultano dopo ricerche sul motore online più famoso del mondo, nel caso in cui apparissero pagine che o ledono la persona oppure che divulghino informazioni personali che comunque si desidera rimangano private e non così pubblicamente esposte. Non è tardata ad arrivare la risposta di Google che si conferma delusa da quanto dichiarato dagli organi del Vecchio Continente. Dove sta la verità e la ragione? Come sempre sta comodamente nel mezzo, anche se non è facile raggiungerla.
Per comprendere meglio la questione partiamo dall’inizio ossia dal caso che ha scatenato tutta la querelle. Nel 2010, il cittadino spagnolo Mario Costeja Gonzalez chiede a Google di rimuovere link che escono cercando il proprio nome sul motore di ricerca spagnolo appunto. Questi collegamenti portano a pagine di quotidiani che parlano di una vendita all’asta di beni del sopra citato signore in seguito al pignoramento che lo aveva colpito nel 1998. Un caso vecchio, dunque, che però appariva in testa ai risultati di ricerca e che poteva – comprensibilmente – ledere la reputazione online dell’uomo. Da lì è nato il caso: Google deve – anche se non ha pubblicato direttamente queste pagine – intervernire tempestivamente se un cittadino richiede la rimozione di collegamenti lesivi. Insomma, il contenitore è responsabile del contenuto anche se pubblicato da terzi.
Questo ovviamente solo nel caso in cui non venisse riscontrato che queste informazioni siano invece importanti da condividere perché utili all’interesse pubblico. Come nel caso ad esempio di notizie che riguardano processi in corso di politici coinvolti in loschi affari, giusto per intenderci. Google ha commentato: “Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale. Siamo molto sorpresi che differisca così drasticamente dall’opinione espressa dall’Advocate General della Corte di Giustizia Europea e da tutti gli avvertimenti e le conseguenze che lui aveva evidenziato. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni”. C’è da comprendere il disappunto: nel caso di segnalazioni serve un’azione rapida e potrebbero ricevere migliaia di segnalazioni… al giorno. Insomma un lavoro non da poco. Ma c’è anche da dire che Google deve prendersi le responsabilità che si merita: onori (è responsabile del 90 per cento delle ricerche europee) e oneri.