Il valzer per definire le nomine dei ministri di quello che probabilmente diverrà il primo governo Meloni è cominciato tra la necessità di offrire figure affidabili per il contesto internazionale e le pretese di Lega e Forza Italia.
Secondo le indiscrezioni sarebbero 20 i ministeri che Meloni vorrebbe che fossero nominati per il suo esecutivo, di cui una buona parte (si vocifera la metà) da assegnare a figure tecniche, cosa che irrita Berlusconi e Salvini, a caccia di dicasteri di peso per i propri eletti.
La spartizione dei ministeri è sicuramente una delle grane più spinose a cui dovrà dare risposta Giorgia Meloni. Da un lato la suddivisione si sarebbe dovuta strutturare in proporzione al risultato delle urne, cosa che ha motivato la decisione di non proporre liste dei ministri pre-elettorali, dall’altro gli alleati di coalizione Lega e Forza Italia premono affinché gli venga riconosciuto il più ampio spazio possibile nel governo, anche al fine di provare a recuperare consenso, visto il calo significativo delle due forze nella ultima tornata elettorale.
Si mormora che il nuovo esecutivo dovrebbe contare 20 ministeri, di cui tre affidati agli azzurri, tre ai leghisti e 12 a personalità tecniche. L’alto numero di figure apolitiche giungerebbe quale risposta alla difficile situazione economica ed internazionale, per la quale l’Italia ha la necessità di mostrarsi affidabile e competente di fronte ai partner europei ed atlantici.
Quindi solo persone dalla professionalità inattaccabile saranno ammesse, un monito che la leader di Fratelli d’Italia fa pervenire anche nei confronti delle proposte degli alleati.
Scandagliando più nel dettaglio i nomi finora emersi, tra le fila di Fratelli d’Italia dovrebbero essere nominati: Raffaele Fitto agli Affari Europei, Fabio Rampelli alle Infrastrutture e per la Difesa ballottaggio tra Adolfo Urso e Guido Crosetto.
Per quel che concerne la Lega, domani i vertici si riuniranno per stilare la propria lista di papabili. Il gruppo di Salvini è il più problematico da gestire nel gioco delle nomine, a cominciare dallo stesso leader del Carroccio: il Capitano reclama un ministero di peso da cui poter risollevare la sua leadership in picchiata nei sondaggi, situazione che sembra anche averlo posto in bilico quale segretario leghista.
L’optimum sarebbe riavere quel Viminale che fece le fortune di Salvini nel primo governo Conte, ma che sembra essergli inibito dalla prestazione elettorale deludente nonché dalle fin troppo manifeste simpatie filorusse. L’alternativa più realistica è la guida del dicastero dell’Agricoltura, altrimenti si pensa a quello delle Riforme o dello Sviluppo Economico.
Per Forza Italia è sicura la presenza nel governo di Antonio Tajani, resta da definirne la posizione (forse agli Esteri), mentre si consuma il contrasto sul nome di Licia Ronzulli. Berlusconi vorrebbe la sua fedelissima alla conduzione del ministero della Salute, tuttavia si registra il niet di Meloni.
La premier in pectore, come ribadito, pretende solo nomi di esperienza e con una formazione inerente al ruolo ministeriale da ricoprire, da ciò la freddezza verso l’opzione Ronzulli.
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