In questi giorni l’esecutivo è impegnato nel realizzare un nuovo sistema pensionistico che dà la possibilità di evitare il ritorno della legge Fornero, che, se non ci saranno interventi, verrà utilizzata in automatico dal primo gennaio del nuovo anno.
Tra i vari progetti che attualmente la presidente del consiglio Meloni sta valutando c’è anche la Quota 103 che potrebbero rappresentare un vero e proprio compromesso tra le due parti a cui si va andrà ad aggiungere la proroga dell’Ape sociale e di Opzione donna.
Inoltre, molto probabilmente, nei prossimi due anni, c’è la possibilità che il sistema previdenziale venga riformato proprio come stanno chiedendo più volte sia Confindustria che i sindacati.
Sono due i fattori da cui il governo si sta facendo molto influenzare per decidere quale strada intraprendere per la riforma sulle pensioni.
Proprio come afferma il Sole 24 Ore, le ipotesi più accreditate è il restyling della quota 102 a cui si andrebbe a raggiungere altri due valori, ossia il raggiungimento anagrafico di 61 anni insieme ad un versamento di 41 anni di contributi.
Così facendo si andrebbero anche ad accontentare le varie richieste della Lega il cui scopo è quello di introdurre una formula secca prima che la legislatura abbia fine.
Potrebbe essere questa una misura che avrà un costo di un miliardo di euro durante il primo anno e che dal terzo anno in poi avrà una vera e propria crescita vertiginosa.
Una soluzione che potrebbe costare meno, lasciando così intatto il requisito del raggiungimento di 41 anni di contributi, è la Quota 104.
Un’ipotesi che non sembra essere molto gradita ai vari sindacati i quali continuano a chiedere introduzione di una Quota 41 oppure un raggiungimento di massimo 62 anni di età
Tra le numerose ipotesi del governo, c’è anche una strada che sembra non utilizzare troppe risorse e che non si allontana troppo da ciò che i sindacati stanno continuando a richiedere.
Stiamo parlando di Quota 103, un’occasione che dà la possibilità di andare in pensione a 62 anni di età dopo aver versato 41 anni di contributi.
La CGIL, la CISL e la UIL avrebbero chiesto di inserire due requisiti. Potrebbe essere anche la possibilità di trovarsi di fronte ad una Quota 103 flessibile la quale permette agli uomini e alle donne di andare in pensione a 61 anni di età.
Un’uscita anticipata che però viene garantita solo nel caso in cui sono stati versati 42 anni di contributi. In alternativa c’è la possibilità di andare in pensione a 62 anni e con 41 anni di versamenti effettuati.
Nella legge di bilancio non sarà assente l’Opzione donna la quale dà la possibilità alle lavoratrici di andare in pensione anticipata a 58 anni con 35 anni di contributi insieme ad un assegno ricalcolato attraverso il metodo contributivo.
Ci sarà inoltre anche l’Ape sociale attraverso la quale determinate categorie di lavoratori in difficoltà, dopo aver ottenuto 63 anni di età e 30 oppure 36 di contribuzione potranno finalmente andare in pensione.
Continua a farsi sentire la voce di Confindustria e dei sindacati i quali spingono sempre di più verso una riforma del mercato capace di sostituire questa temporanea soluzione che attualmente è in vigore.
Infatti, gli spazi stretti di finanza pubblica, non danno la possibilità al governo Meloni di andare avanti velocemente verso questa direzione anche se lo scopo sembra essere quello di definire il tutto attraverso un intervento strutturale così che le misure in questione possono essere avviate nel 2024.
E questo è un argomento di cui ha parlato a lungo il ministro dell’economia Giorgetti il quale ha affermato: “Se consideriamo il periodo 2022-2025, la spesa per pensioni assorbirà risorse per oltre 50 miliardi”.
Intanto il ministro ha messo la sua firma sotto il decreto che, dal 2023, dispone un’adeguamento del 7,3% delle pensioni dei vari cittadini.
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