Sulla durata del governo Renzi da tempo si fanno ipotesi. Gli scenari cambiano a seconda di chi si ha di fronte: per le opposizioni sarà l’incapacità del premier a far cadere il suo esecutivo, per altri saranno gli italiani a chiedere le sue dimissioni, per altri ancora ancora saranno complotti esteri. Ricordando ancora una volta che in Italia non si elegge il Presidente del Consiglio ma il Parlamento, di certo Matteo Renzi incarna, nel bene e nel male, un modo nuovo di fare politica, almeno per la sinistra italiana. Più one man show di berlusconiana memoria che leader delle masse operaie stile vecchio PCI, Renzi ha più di un nemico pronto a fargli lo sgambetto. Vediamo quali scenari potrebbero portare alla caduta del governo Renzi.
Il governo Renzi è in una fase delicata. A metà mandato, il calo nel consenso popolare è quasi fisiologico per ogni esecutivo e lo è ancora di più per chi ha personalizzato lo scontro politico esterno (con l’opposizione) e interno (al Partito Democratico). Vediamo quali potrebbero essere i motivi della fine di questo esecutivo.
Addio maggioranza
Il governo Renzi deve fare i conti con una maggioranza sempre più risicata. A differenza della Camera, al Senato il PD non ha una maggioranza granitica e ogni defezione può essere fatale. L’ultima a livello temporale è di Renato Schifani che ha dato le dimissioni da capogruppo di NCD a Palazzo Madama, chiarendo che non uscirà dal partito, che non voterà contro il governo, almeno finché rimarrà nel partito, ma che il progetto di Angelino Alfano è destinato a fallire e che il centrodestra è ancora Forza Italia, dove pare voglia ritornare. Se, come ipotizzano in molti, con lui se ne andassero altri 2 senatori, l’esecutivo potrebbe perdere la maggioranza, con la parte centrista molto a rischio, rendendo così sempre più necessario l’appoggio esterno di Denis Verdini e la sua ALA. D’altra parte, il PD ha chiarito, tramite il presidente Matteo Orfini, che non accoglierà transfughi di Forza Italia e di altri partiti legati al centrodestra. Ad agitare le acque è arrivata anche la decisione di Enrico Zanetti, viceministro dell’Economia in quota Scelta Civica, di passare al gruppo di Verdini. Orfini ha chiesto di chiarire e, in ogni caso, di dimettersi dall’incarico di governo perché questa “inutile furbizia“, come l’ha definita in un’intervista a Repubblica, non cambierà i confini politici della maggioranza.
La rivincita degli ex
Lo stato di salute del PD, dopo le amministrative 2016, è peggiorato e, ad approfittarne potrebbe arrivare la minoranza dem e gli ex capi corrente che da dicembre 2012 (da quando cioè è stato eletto segretario del partito) cercano di scavalcarlo. Basta scorrere le reazioni dei dirigenti alle sconfitte di Roma e Torino per sentire il rumore delle armi che si vanno affilando. Pierluigi Bersani e i suoi, Gianni Cuperlo e l’inossidabile Massimo D’Alema sono pronti a chiedere la testa di Renzi, colpevole di aver affondato il PD per aver voluto tenere il doppio ruolo di premier e segretario.
L’avanzata del M5S
Il voto alle comunali ha certificato l’avanzata del M5S, da tempo ormai l’unico vero avversario del PD di Renzi a livello di consenso (i numeri sempre più risicati hanno spedito il centrodestra in un angolo, almeno per il momento). Commentando il voto, Renzi lo ha definito “non di protesta ma di cambiamento“, cercando di minimizzare l’impatto, ma per il Rottamatore per eccellenza il colpo è stato piuttosto duro. Uno dei motivi che l’ha portato a Palazzo Chigi è stata la sua battaglia per il rinnovamento della classe politica: oggi invece è lui il “vecchio” contro un M5S sempre più “nuovo”, come dimostrano le ultime amministrative dove due donne under 40 hanno battuto due uomini over 50. Se uniamo il malcontento popolare, il risentimento per la politica come moda da social, la sofferenza economica di un paese che cresce troppo lentamente, abbiamo la ricetta perfetta per il flop.
Il referendum
In autunno si terrà il referendum sulla riforma della Costituzione e per Renzi potrebbe essere l’ultima occasione da premier. Lui stesso ha caricato il voto di un enorme peso politico, dichiarando fin dall’inizio che se avesse perso il referendum si sarebbe dimesso da premier. Le opposizioni hanno colto la palla al balzo e hanno iniziato una campagna per il no che poco o nulla ha a che fare con il contenuto della riforma in sé, con il solo obiettivo di scalzarlo da Palazzo Chigi. Dopo il voto alle amministrative anche i suoi hanno cambiato strategia e hanno iniziato a chiedergli di ripensare le dimissioni e di scindere l’esito del referendum dalla carica di governo, ipotesi che al momento sembra trovarlo d’accordo.
Il complotto estero
Un ritorno al recente passato passa dall’ipotesi del complotto estero, quello che, secondo molti, portò alla caduta del governo Berlusconi e all’avvento del governo Monti nel 2011. La paura serpeggia anche tra i corridoi di Palazzo Chighi. Colpa dello scontro con Mario Monti avuto al Senato durante la comunicazione del premier alle Camere in vista del Consiglio Europeo di mercoledì 17 febbraio. L’ex premier, voluto dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, non ha gradito l’intervento di Renzi in materia di Europa e lo ha attacco. “Presidente Renzi, lei non manca occasione per denigrare le modalità concrete di esistenza della Unione Europea, con la distruzione sistematica a colpi di clava e scalpello di tutto quello che la UE ha significato finora“, ha tuonato dal suo scranno. Piccata la replica di Renzi: “Quando garbatamente il senatore Monti mi accusa di non rispetto delle regole vorrei ricordare che da parte di questo governo c’è stato il massimo impegno a ridurre le procedure d’infrazione, i decreti attuativi sono diminuiti così come il deficit. Sul rispetto delle regole non accetto lezioni perché lo considero un valore“. I renziani più fidati hanno iniziato a temere il peggio: Monti potrebbe essere portavoce del malcontento europeo nei confronti del Rottamatore? Che Renzi rappresenti una novità per i leader europei è vero. Il premier ha portato la sua spavalderia anche a Bruxelles, pestando i piedi ai colossi come la Germania per dare un’immagine diversa del Paese, meno diplomatica e più combattiva, dimenticandosi però di non essere nella posizione ideale per reclamare un ruolo guida per l’Italia.
Gli scandali interni
Al momento tutto tace, ma c’è stato un momento in cui il governo Renzi ha tremato per lo scandalo delle Banche, in particolare di Banca Etruria, il decreto Salva Banche, e i legami con il padre della ministra Maria Elena Boschi, Pier Luigi Boschi e quello del premier, Tiziano Renzi. Le opposizioni, in particolare il M5S, sono arrivati a chiedere la sfiducia per un presunto conflitto d’interesse, fiducia che la Camera hanno confermato, salvando così l’esecutivo. Lo scandalo interno è rientrato, ma l’aria si è fatta pesante e gli attacchi delle opposizioni continuano. L’unico risultato tangibile, al momento, è il fallimento dell’ampliamento dell’outlet di lusso The Mall, ideato tra gli altri dal padre di Renzi, e della Party srl, società detenuta per il 40% dalla madre del premier, Laura Bovoli. Come riporta Il Giornale, la società è stata sciolta e messa in liquidazione il 27 gennaio per colpa della “pesante campagna mediatica“.
Il gioco della politica
Infine, c’è il gioco della politica. La maggioranza di governo si regge su un filo che diventa sempre più sottile. I numeri al Senato sono risicati e il doppio passaggio alle Camere mette a dura prova l’esecutivo. Prova ne è la difficoltà che ha avuto il ddl Cirinnà sulle unioni civili gay. Senza il NCD di Angelino Alfano, contrario al disegno di legge, il PD ha cercato la sponda del M5S che ha rimandato la richiesta al mittente, portando all’eliminazione della stepchild adoption e al sostegno di ALA di Denis Verdini al voto finale. I calcoli politici sono all’ordine del giorno in ogni democrazia e per il governo Renzi sono molto complessi. Le spaccature interne, le differenze con il maggior alleato di governo, le spinte delle opposizioni: il panorama politico attuale non è proprio dei più sereni.
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