AB/LaPresse
Al referendum in Grecia del 5 luglio hanno vinto i no. Cosa succederà adesso? Se la Grecia dovesse uscire dall’Eurozona potrebbero esserci ripercussioni sugli altri Stati appartenenti all’Unione Europea. In realtà Atene ha già dichiarato un default nel marzo del 2012, senza chiamarlo così, dopo l’approvazione del secondo pacchetto di aiuti da 130 miliardi a febbraio. I detentori privati di titoli di Stato greco hanno dovuto accettare la ristrutturazione del debito con un taglio di oltre il 50% del valore nominale dei bond e l’allungamento delle scadenze.
Stavolta a subirne le conseguenze sarebbe un’istituzione internazionale che a maggio ha visto la Grecia rimborsare una rata da 750 milioni, prelevando fondi di riserva presso il Fondo Monetario Internazionale. Ad Atene resterebbero i fondi di emergenza della Bce alle banche greche, che sono lievitati ad 80 miliardi per controbilanciare i ritiri dai depositi.
La Grecia non può finanziarsi a breve termine direttamente sul mercato, per questo l’accesso al credito dell’Eurotower, in cambio di titoli di Stato greci usati come collaterali, resterà aperto finché le banche saranno solventi. Il Presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha detto che i partner europei devono decidere se accettare e permettersi l’uscita di Atene dall’Euro, anche se politicamente possono farlo.
Per il mercato sarebbe la peggiore delle soluzioni perché provocherebbe una crisi politica, dato che i governi dei Paesi UE hanno in mano circa 200 miliardi del debito greco. A risentirne sarebbe anche il nostro Paese: la “Grexit”, come viene da poco chiamata l’uscita di Atene dalla Eurozona, avrebbe conseguenze immediate sullo spread tra Btp e Bond facendolo innalzare intorno a quota 300 o più.
Anche il rendimento dei Btp si impennerebbe, facendo di conseguenza lievitare i costi di finanziamento italiani e frenando la ripresa economica. I titoli bancari in borsa potrebbero subire un contraccolpo e a risentirne sarebbero gli istituti di credito più esposti con la Grecia, come quelli di Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera. Le banche italiane hanno una esposizione molto bassa, poco sopra lo zero, ma sono colme di bond governativi che risentirebbero della Grexit in senso negativo.
La Banca Centrale Europea e il Meccanismo Europeo di Stabilità potrebbero anche intervenire comprando titoli di stato, ma non riuscirebbero a risolvere la situazione del tutto e i divari dei tassi rimarrebbero consistenti, inoltre i loro bilanci si riempirebbero di debiti di Paesi dell’Europa meridionale, costringendo la Germania e quelli più “benestanti” a colmarli. Per Francia e Italia si alzerebbero i costi degli interessi e di conseguenza l’onere del debito e del deficit aumenterebbe.
Lo scenario non è dei più rosei, ma nemmeno quello che si prospetta per la Grecia stessa lo sarebbe: rischio di isolamento sul mercato, aumento dell’inflazione e diminuzione del potere d’acquisto.
1000 euro ad italiano per il debito greco
Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha reso noto uno studio sulla sostenibilità del debito greco, nel quale si evince che, comunque vada a finire, la Grecia costerà cara agli italiani. Il nostro Stato ha già prestato ad Atene 36 miliardi euro, che sarebbero circa 600 euro per italiano, da restituire in tempi lunghi.
In caso la Grecia uscisse dall’Euro vi si aggiungerebbero altri danni economici, che potrebbero essere stimati ad un totale di 1000 euro per italiano. Secondo il Fmi, Atene avrà bisogno di prestiti per altri 52 miliardi di euro fino al 2018, dei quali almeno 36 milioni dovrebbero partire dagli Stati europei. Le ripercussioni sui mercati innescherebbero nuove speculazioni sui titoli di Stato dei Paesi a “rischio insolvenza” come l’Italia e secondo una stima del Sole 24 Ore, un rialzo permamente di 2 punti percentuali dei rendimenti ci costerebbe circa 4/5 miliardi all’anno.
L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha convenuto che la Grexit potrebbe portarci via 11 miliardi di euro di maggiori oneri sul debito pubblico, l’aumento più grande in assoluto nell’Eurozona. Ci potrebbero inoltre essere conseguenze sull’export, in quanto verrebbero messi in pericolo i rapporti commerciali in atto e i relativi crediti.
La teoria francese e quella tedesca
E’ difficile dire se i capi di Governo potranno decidere, tenendo in conto l’inevitabile o sulla base di una scelta politica. Ci sono ragioni forti perché la Grecia rimanga dentro l’Eurogruppo, ma anche motivi pregnanti, per i quali potrebbe restare fuori. La tendenza francese, che è direzionata sulla scia dell’evitare la Grexit, teme che, se l’euro comincia a perdere dei pezzi, poi possa sfaldarsi con una sorta di effetto domino. Il rischio è a medio termine, perché proprio così potrebbero recepirlo i mercati. Secondo questa teoria, perdere un membro dell’Eurozona sarebbe l’ammissione di una debolezza.
La tendenza della Germania, invece, è contraria. A Berlino non si tende più a fidarsi dei Governi greci e in particolare di quello di Alexis Tsipras e si ritiene che la sospensione di Atene sia la scelta migliore da fare. Secondo le teorie tedesche, considerando la situazione difficile dello Stato ellenico, si è arrivati alla conclusione che il Paese non è più in grado di stare nell’euro. Secondo i tedeschi, sarebbe anche un vantaggio per Atene: non servirebbe a niente continuare con altre elargizioni, perché la Grecia deve ricostruire tutto. Inoltre i leader tedeschi pensano che, indipendentemente anche dalla crisi greca, sia arrivato il momento di prendere in considerazione le possibilità che offre l’Eurozona.
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