Il Presidente del Consiglio Mario Draghi sarà quest’oggi, 21 giugno, in Senato per discutere di una mozione da condividere con il Parlamento sull’Ucraina.
Si punta ad un documento compartecipato con la maggioranza di governo al fine di rafforzare la posizione e la linea del premier in vista del vertice europeo del 23 e 24 giugno.
Draghi e il puzzle parlamentare sull’Ucraina
Sembra sempre più complessa l’opera di mediazione, ma soprattutto di tenuta di una direzione coerente e ferma, del primo ministro italiano Draghi sulla posizione della Penisola riguardo il conflitto in Ucraina.
Il prolungarsi della guerra, la sua sorte sempre più incerta, la costante pressione di Zelensky agli alleati occidentali sui rifornimenti di armi fanno vacillare il precario equilibrismo dell’esecutivo.
L’avvicinarsi delle elezioni politiche generali (marzo 2023), spinge alcuni partiti a una dialettica tesa a mostrare al corpo elettorale le singolarità di ogni forza politica, a tentare di ritagliarsi uno spazio di azione da poter imputare come proprio e che lo stesso gruppo si impegnerebbe a difendere e rappresentare nella prossima legislatura.
In particolare l’attivismo in tal senso emerge dalle dichiarazioni e distinguo di Lega e Movimento 5 Stelle, che si dedicano alacremente a propagandare scetticismo sulle forniture belliche in un’ottica negoziale volta a trovare un accordo di pace tra i due paesi belligeranti.
Le tessere che non si incastrano: Conte e Di Maio
Le scosse più acute in questi giorni provengono dal movimento fondato da Beppe Grillo. Dallo scorso weekend si sta consumando una diatriba interna al Movimento 5 Stelle tra quelle che probabilmente sono le figure più note e di peso all’interno del partito: il capo politico Giuseppe Conte ed il ministro degli Esteri Luigi di Maio.
Il primo, nel tentativo di trovare un argomento da elevare a battaglia pentastellata, sta rispolverando le allusioni populiste che fecero la fortuna della forza politica nelle elezioni del 2018, in special modo l’ex “avvocato del popolo” professa da varie settimane un coinvolgimento maggiore del Parlamento sulle risoluzioni legate alla situazione ucraina ed internazionale.
Il secondo, che ha abbandonato molte velleità populiste e si presenta in una veste moderata opposta a quanto manifestato quando era leader del Movimento, spinge per una totale adesione alla linea voluta da Mario Draghi e quindi alla direttrice euro-atlantica (che lo stesso premier incarna a livello nazionale).
Se tali frizioni accompagnano i 5 Stelle fin dallo scoppio degli scontri, ciò che ora fa temere il governo è l’aperta conflittualità grillina sul ruolo delle due Camere nel definire la linea del Bel Paese.
Un documento trapelato dagli uffici M5S chiedeva come necessario un passaggio parlamentare di Draghi ogni qual volta una delibera su armi e guerra fosse messa in campo (e non riferita ogni tre mesi come attualmente è in uso fare). Questa notizia ha provocato l’immediata reazione di Di Maio, che ha definito il documento pericoloso per la tenuta del governo nonché per l’immagine internazionale dell’Italia, invitando il suo stesso partito ad una profonda riflessione interna sul suo collocamento.
I mugugni dello stesso esecutivo hanno fatto affondare la proposta, ma non l’astio interno ai pentastellati verso quella bandiera del Movimento delle origini che ora sembra più un pennone crollato a far da ostacolo alla forza contiana.
Si paventa addirittura una espulsione del ministro o una scissione del partito; in ogni caso tra accuse incrociate e spasmodica ricerca di visibilità, la strada di Mario Draghi verso Bruxelles è tutt’altro che pianeggiante.