Pochi giorni fa la riconquista ucraina della città di Lyman ha scoperchiato le voci critiche dell’opinione interna russa, che mediante giornali e dichiarazioni di esponenti politici e militari si mostra alquanto scettica sul modo di condurre la guerra da parte di Putin e del governo di Mosca.
L’avanzata ucraina, che nel corso di settembre ha permesso a Kiev di recuperare ampie porzioni di territorio controllato dal Cremlino, sta portando a una involuzione della guerra che per la prima volta fa vacillare esplicitamente la capacità di tenuta di Putin.
Lyman non era solo un avamposto russo nella regione di Donetsk, era anche uno snodo logistico e strategico fondamentale per l’ex armata rossa, da cui transitavano i rifornimenti per le truppe impegnate sul fronte.
La sua caduta, o meglio liberazione, da parte dei miliziani di Kiev ha sollevato in Russia una serie di critiche al regime inaudita per numero di voci dissonanti e schiettezza delle accuse alla nomenklatura russa.
Un esempio è il quotidiano filo-governativo Nezavisimaya Gazeta il quale dopo la perdita dell’agglomerato urbano imputa, per la prima volta in modo diretto, la responsabilità dell’accaduto alle forze armate in campo e sottolinea l’importanza di osservare la questione da un punto di vista politico di conduzione del conflitto.
Eppure le voci disallineate alla finora monolitica propaganda del regime si fanno sempre più variegate e ben udibili anche in Occidente. Addirittura dallo stesso partito politico del presidente Vladimir Putin, Russia Unita, emergono echi di disapprovazione per quanto finora visto in Ucraina.
Andrey Gurulev, deputato della Duma nonché ex generale, si interroga su come si possa aver compiuto sul terreno bellico errori di valutazione così sconsiderati, giungendo poi a insinuare che la causa sia l’impreparazione politica e militare dimostrata dallo stesso Ministero della Difesa russo.
Insomma sempre più esponenti dell’opinione pubblica russa sembrano attaccare i vertici del potere moscovita senza apparentemente temere ripercussioni, cosa che palesa forse un regime sempre più in difficoltà anche sul fronte interno.
Sicuramente il più netto e irritato è il capo della Repubblica cecena, Ramzan Kadyrov, le cui dichiarazioni lasciano trasparire una frustrazione indicativa dello stato emotivo russo, ancor più esemplificativo se si tiene presente come Kadyrov sia un fedelissimo di Putin.
Il leader caucasico ha condannato frontalmente il comandante del Distretto Militare Centrale Alexander Lapin, colpevole di non aver fornito ai combattenti il necessario in materiali e informazioni al fine di poter difendere al meglio Lyman dalla pressione offensiva ucraina.
Non solo: molto ripresa in Occidente è stata anche la richiesta di Kadyrov di ribattere alla controffensiva giallo-blu con un bombardamento nucleare di piccola intensità (bombe atomiche tattiche), a cui hanno fatto seguito le dichiarazioni del portavoce del Cremlino Peskov che, nell’intento di raffreddare gli animi, ha consigliato al leader ceceno di non lasciarsi guidare dalle emozioni.
Inoltre, sempre da parole di Peskov, l’uso degli ordigni atomici è subordinato al rispetto della dottrina nucleare russa e che a quest’ultima quindi il governo si atterrà.
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