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Hotspot per migranti, cosa sono e a cosa servono

Nella sempre più difficile emergenza profughi, ha iniziato a far capolino un nuovo termine: hotspot. Il 15 settembre, la cancelliera tedesca Angela Merkel e l’omologo austriaco Werner Faymann hanno infatti ribadito la necessità che in Italia, Grecia e Ungheria vengano allestiti gli hotspot che altro non sono che centri di identificazione per i migranti che arrivano ai confini europei. La richiesta è strettamente legata alla questione dei 120mila richiedenti asilo arrivati da Ungheria, Italia e Grecia: senza i controlli, anche i Paesi che hanno aperto i confini non daranno il loro assenso. Da Bruxelles sono arrivate le prime rassicurazioni sui primi 40mila richiedenti asilo: la loro ricollocazione sembra avvicinarsi, ma lo stallo permane.

Mentre i confini dei Paesi sulla rotta balcanica sono presi d’assalto dai profughi, con l’Ungheria che ha scelto il pugno di ferro, bloccando di fatto i propri confini, in Europa si discute su come mettere in moto la macchina burocratica. Siamo ancora in fase di negoziazione, sulle quote di ridistribuzione manca un accordo globale, mentre i numeri sono destinati ad aumentare con il passare delle ore. Il Parlamento Europeo ha dato il primo sì al ricollocamento dei 120mila richiedenti, ma l’operatività è ancora incerta.

Cosa sono gli hotspot

Il primo passo è la creazione e attivazione degli hotspot. Come anticipato, si tratta di centri già esistenti e attrezzati per l’identificazione dei migranti che devono essere ampliati per far fronte alle richieste in aumento e permettere il fermo dei migranti per un tempo limitato all’accettazione della domanda d’asilo. In pratica, qui si dovranno identificare le persone e dividere i richiedenti asilo dagli immigrati economici.

Ad occuparsene devono essere i Paesi di confine dell’Europa, a iniziare da Italia e Grecia. Nei centri indicati, le polizie locali saranno aiutati da funzionari delle agenzie europee Europol (Polizia), Eurojust (cooperazione giudiziaria), Frontex (controllo delle frontiere) ed Easo (agenzia UE per il diritto di asilo). Lo scopo è identificare i migranti che vogliono presentare la richiesta d’asilo: vengono registrati i dati personali, vengono scattate foto e prese impronte digitali entro 48 ore (prorogabili a 72) dal loro arrivo. I migranti vengono trattenuti fino all’identificazione; se non accetteranno di essere identificati, verranno trasferiti nei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, e nelle strutture detentive prima di essere rimpatriati. Chi acconsente all’identificazione, viene trasferito in altri centri per richiedenti asilo fino all’accettazione della richiesta: solo allora potranno lasciare i centri.

Gli hotspot in Italia

Il nostro Paese ha indicato sei strutture già pronte per l’attivazione degli hotspot: si tratta dei centri di Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Augusta e Taranto. Sulla loro operatività invece c’è ancora incertezza. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, in un’intervista alla radio Rtl, ha dichiarato che le operazioni di rimpatrio dovranno essere organizzate e finanziate dall’UE, indicando in due mesi il tempo necessario per renderli completamente operativi.

Le difficoltà

Sulla carta sembra tutto semplice, ma la realtà è molto più complessa. In primo luogo, manca una chiara politica di ridistribuzione delle quote e sui rimpatri c’è ancora il silenzio dell’Unione Europea. Germania, Austria e ora anche la Francia stanno ripristinando controlli ai confini, aumentando il rischio di caos. Senza un sistema chiaro su come dividere i migranti per ogni Paese, e con la possibile chiusura dei confini, il rischio è che l’Italia e gli altri paesi di frontiera debbano accollarsi l’ospitalità di tutti coloro che arrivano in Europa, rimanendo soli (per l’ennesima volta) a gestire l’emergenza.

Altra difficoltà è convincere i migranti a farsi identificare: secondo i dati della Polizia italiana, una persona su tre rifiuta di farsi identificare. L’aiuto degli esperti europei potrà anche accelerare la procedura, ma il rischio è che i numeri siano comunque insufficienti per far fronte al flusso di questi giorni.

Lorena Cacace

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