I Duran Duran e David Lynch insieme al cinema nel film evento Duran Duran: Unstaged, nelle sale di tutto il mondo il 21, il 22 e il 23 luglio 2014. La band anni ’80 guidata da Simon Le Bon e il regista visionario hanno sposato un progetto tanto arduo quanto gradito ai fans: 120 minuti di musica accompagnati da immagini, là dove immagine e suono si mixano e danno vita a un esperimento più unico che raro. A introdurre la versione italiana del docu-film, Morgan, il cantante nostrano tanto geniale quanto discusso, che, in una clip di circa dieci minuti, anticipa il risultato dell’esperimento di Lynch, raccontando la storia della band e del regista.
I Duran Duran e David Lynch sono legati da un amore non convenzionale per le cose e Duran Duran: Unstaged lo dimostra. Simon Le Bon, Nick Rhodes, John e Roger Taylor, infatti, hanno affidato a Lynch il loro concerto del 23 marzo 2011 dal Mayan Theater di Los Angeles, acconsentendo a farsi trasportare nel mondo fantastico del regista, che ha reinterpretato i testi e le musiche della band inglese attraverso immagine evocative di un intero decennio.
La straordinarietà dell’evento sta non tanto nel concerto in sé, quanto nel mix di immagine e suono che, di certo, non lasciano indifferente lo spettatore. Una volta ottenuta carta bianca da Simon Le Bon & company, Lynch ha unito le riprese del concerto a immagini da lui girate precedentemente, che spaziano da semplici oggetti a spirali psichedeliche, da effetti speciali a oggetti cult che fanno molto anni ’80.
I centoventi minuti circa di spettacolo sono intermezzati da duetti con Gerard Way dei My Chemical Brothers, con Beth Ditto dei Gossip e con Kelis. E per fortuna, verrebbe da dire! Questi pochi minuti – insieme a quelli in cui la regia di Lynch scompare per lasciare spazio alla musica – sono gli unici pienamente godibili di tutto lo show. L’esperimento di Lynch è indubbiamente riuscito a livello registico, ma quello che ci si chiede durante la visione di Duran Duran: Unstaged è: perché?
La sensazione che emerge dalla visione del docu-film è che Lynch sia rimasto ancorato a un passato lontano o che voglia raccontare quegli anni a chi non li ha vissuti, ma il racconto per immagini che ne viene fuori appare quantomeno anacronistico; certo, è sempre un tentativo di racconto cinematografico delle emozioni del regista, ma pur sempre ancorato a tre decadi addietro. La seconda domanda, un po’ più argomentata, è: perché insistere con gli effetti speciali? Riducono la forza di Simon Le Bon, della band e delle canzoni.
Lynch è notoriamente un genio, un visionario fuori dall’ordinario, ma Duran Duran: Unstaged sembra un patchwork confuso di una idea pregevole in nuce, ma non ben riuscita sullo schermo; il tentativo di un racconto personalissimo – e, ripeto, forse anacronistico – del sound, dei colori, dello stile e del mood di un’intera epoca. E’ palese che i Duran Duran fungono da colonna sonora della vita del regista, ma ci si chiede: qual è il messaggio? Far conoscere i Duran Duran a chi negli anni ’80 ascoltava Barbra Streisand? Farli conscere a chi negli anni ’80 non era ancora nato o era ancora in fasce? Se la risposta a uno di questi quesiti è sì, non era necessario.
Sono nata a metà degli anni ’80 e ho scoperto i Duran Duran nella tarda adolescenza: prima mi destreggiavo abilmente tra Laura Pausini e i R.E.M., ma, qualora avessi deciso di scoprire una band, di certo non l’avrei fatto al cinema e, di certo, non li avrei apprezzati se, durante un duetto con Kelis, la dissolvenza avesse intercettato un barbecue con dei wurstel sulla brace. Anche questo fa molto anni ’80, ma i Duran Duran sono sopravvissuti al passato, riuscendo a traghettare negli anni Duemila e a ritornare sulla cresta dell’onda, nonostate i corpi appesantiti e i volti rugosi e vissuti di Simon & co.. A proposito di Simon, non ho potuto non ripensare al film Sposerò Simon Le Bon (anche quello rigorosamente Eighties, anno 1986) e mi sono chiesta: la protagonista, oggi, lo sposerebbe ancora?
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