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I fantasmi del passato visitano Salvini

La celebrazione annuale della Lega a Pontida ricorda al leader del partito, Matteo Salvini, in caduta libera alle urne per le elezioni del 25 settembre.

Matteo Salvini – NanoPress.it

Un deserto senz’anima accanto alla statale 342 a Bergamo illustra la mitologia eroica della Lega di Matteo Salvini. Pontida, piccolo comune di 3.230 abitanti del Bergamasco, una delle province più ricche della prospera Lombardia, è il luogo dove, secondo una leggenda, si celebrava il 7 aprile 1167 il giuramento della Lega Lombarda, esercito che sconfisse l’invasore Federico I Barbarossa.

Salvini attende con preoccupazione i risultati del 25 settembre

Così nel 1990, la Lega Nord ha ufficialmente trasformato questo lotto in un “prato sacro” e ha iniziato a riempirlo ogni anno di fedeli. Qui fu issata la bandiera della Padania, altro territorio fittizio su cui Umberto Bossi proclamò un’indipendenza falsa come i conti del suo partito quando era al potere. È successo molto prima che la Lega Nord si liberasse del suo nome, diventasse un artefatto nazionale per spazzare via le urne.

Ma quei tempi sono finiti. E quando i fantasmi del passato bussano alla porta, come è successo questa domenica a Pontida, conviene avere ben sistemati i saloni del presente. La festa di Pontida, che domenica ha riunito circa 100.000 persone secondo gli organizzatori – 20.000 secondo la polizia -, è l’annuale festa della festa che Bossi fondò nel 1991, un tipo tosto che girava con indosso camicie impero e un sigaro toscano nelle sale del potere di Roma.

Lo spazio all’aperto era sempre pieno all’inizio di settembre di militanti della vecchia Lega Nord, per lo più lombardi e veneti, che cantavano canzoni razziste contro il Mezzogiorno, bevevano birra e mangiavano braciole di maiale e polenta. Un rave nazionalista in cui è stata emessa una sentenza contro il sud del Paese come causa di tutti i mali. I confini della Padania, mondo immaginario per il quale si proclamava l’indipendenza, erano segnati dal corso tortuoso del prospero fiume Po, oggi punito dalla siccità: tutto al di sotto apparteneva alla povera Italia. Erano tempi diversi.

Che la Lega Nord si sia alleata con Silvio Berlusconi, che ha jibarizzato tutto, si è trincerato nella sua visione autonomista e ha perso il potere. Fino a quando un giovane milanese con un istinto omicida per cavalcare i disordini dell’elettorato non ha preso le redini del manufatto.Quando Matteo Salvini è diventato leader della Lega Nord, il partito non ha superato il 4% nei sondaggi. Il politico, con poca esperienza al Comune di Milano e alla radio del partito, capì che doveva cambiare, crescere e sfruttare la paura che in quel momento si stava impadronendo dell’Europa: immigrazione, crisi del ceto medio, disoccupazione.

Ha trasformato il partito in un artefatto nazionale e si è alleato a Bruxelles con una squadra di ultras: Marine Le Pen in Francia, Geert Wilders nei Paesi Bassi o Alternative per la Germania a Berlino. I baroni del nord digrignarono i denti, protestarono in privato. Bossi ha preso le distanze da Salvini e hanno finito per avere un rapporto terribile, anche se questa domenica il segretario della Lega gli ha invocato “forza e onore”.

Il piano non aveva niente a che vedere con la Lega Nord o con la sua identità autonomista. Ma l’abbondanza elettorale, che ha permesso alla formazione di diventare la forza più votata alle elezioni europee del 2018 e di avere una vicepresidenza del Consiglio dei ministri, ha messo a tacere le denunce. Oggi, invece, con il 12% nei sondaggi e sempre più lontano dalla compagna Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), Salvini si confronta ancora una volta con il suo passato.

E questa domenica i suoi militanti e baroni gli hanno detto molto chiaramente: il problema è l’autonomia

E questa domenica i suoi militanti e baroni gli hanno detto molto chiaramente: il problema è l’autonomia. La Lega non è un partito che discute del leader, per quanto possa sembrare moribondo, mentre è presente. Ma la messa in scena di Pontida, un misto di un convegno politico a cielo aperto e di un carnevale vichingo, ha permesso di decifrare lo stato d’animo della militanza. Andrea Pastore, bandiera alla mano, crede di poter pagare alcune cose, come la sua ambiguità in tema di vaccini.

Matteo Salvini, Federico Sboarina, Giorgia Meloni e Luca Zaia – Nanopress.it

“Questa è stata un’area duramente colpita dalla pandemia e non stai scherzando con questo problema”, dice. Anche così, non mostra crepe: “Discutere una settimana prima delle elezioni? Non scherzo. È il nostro capo”, proclama mentre una nuvola di fumo di carne alla griglia invade la pianura.

Alcuni dei suoi correligionari, tuttavia, qualificano la sua strategia di espansione nel sud. Alex Marchione, bresciano, sventola una bandiera verde della Padania e mostra qualche dubbio. “Penso che la nuova strategia nazionale stia mescolando troppe idee e culture. Il Sud non è il Nord. E molti dei problemi che abbiamo avuto provengono da lì. Rivendico la libera Padania”. In prima fila di pubblico glielo ricordava anche uno striscione. “Autonomia”.

Salvini sembra non accorgersene e domenica ha proseguito con i suoi sproloqui internazionali. Un discorso dall’aroma rancido di Steve Bannon. In primo luogo, ha elogiato Trump e ha assicurato che nulla di ciò che accade oggi gli sarebbe successo. E poi ha chiamato comunista il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Una retorica che tollerava la militanza quando le cose andavano bene, ma che comincia a produrre noia ora che la formazione ha dato a Meloni metà dei voti.

«I partiti della coalizione sono uniti su tutte le questioni», ha gridato sul palco, restringendo ulteriormente l’elenco dei motivi per votarlo: se il programma è lo stesso, meglio un nuovo candidato che porti più serenità, pensa parte dell’elettorato . Salvini lo sa. E in realtà oggi aspira solo ad occupare il ministero dell’Interno. Ma non sembrava nemmeno avere una strategia chiara. Domenica ha assicurato che proporrà un avvocato per il portafoglio Giustizia o un medico per il portafoglio Salute.

“È buon senso”, ha lanciato. Una premessa che inviterebbe anche a pensare che l’interno dovrebbe essere occupato da un esperto di sicurezza o da un comandante di polizia invece del leader di un partito di estrema destra. I risultati della Lega della prossima giornata 25 segneranno le dinamiche interne della formazione. Se fossero pessimi – alcune fonti assicurano che non ha ancora toccato il fondo – si potrebbe parlare di staffette.

I migliori oggi sono i governatori del Veneto Luca Zaia – ha vinto le ultime elezioni regionali con il 77% dei voti – o Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli-Venezia Giulia. Questa domenica sono stati acclamati sul palco. Segno evidente che il partito vuole recuperare parte dell’essenza del passato e alcune delle vecchie tesi di Umberto Bossi. Il grande fondatore, tra l’altro, non ha voluto partecipare all’incontro di domenica. Ha evitato la foto perché voleva festeggiare il suo compleanno con la sua famiglia. Ma come ricordava lo stesso Salvini, microfono alla mano, il calendario gliela attribuiva per il giorno successivo.

Paolo Battisti

Giornalista Pubblicista dal 2013. Amo la storia e mi occupo di politica estera

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