A quasi un anno dalla morte di Giulia Cecchettin, evento brutale che ha acceso un’ulteriore luce sulla piaga del patriarcato e della violenza di genere, i femminicidi rappresentano ancora un fenomeno incombente all’interno della società.
Oggi, infatti, nella cattedrale di Piacenza si è celebrato il funerale di Aurora, la tredicenne uccisa dal suo ex fidanzato quindicenne.
Aurora è stata scaraventata dal balcone e, pur avendo tentato di salvarsi aggrappandosi alla ringhiera, i suoi sforzi sono risultati vani perché l’ex fidanzato ha continuato a picchiarla facendole mollare la presa.
Aurora a soli 13 anni aveva già sperimentato ampiamente gli effetti degradanti di una relazione violenta. Il fidanzato era geloso e possessivo e, molto spesso, questo sfociava in litigi abusanti.
Aurora è l’ennesima vittima di un’educazione di tipo patriarcale che deve necessariamente essere affrontata alle radici, partendo dalle scuole.
I dati del rapporto “Survey Teen 2024” sulla percezione della violenza negli adolescenti
Il rapporto “Survey Teen 2024”, presentato dalla Fondazione Libellula, si è occupato di indagare la percezione di 1.592 adolescenti tra i 14 e i 19 anni rispetto la violenza di genere.
Il documento riporta che, per circa il 20/25 % dei ragazzi toccare, baciare o rivelare dettagli intimi senza consenso non rappresentano gesti violenti. Allo stesso tempo, circa il 50% degli adolescenti esaminati ritiene che la gelosia non sia una forma di abuso, mentre per circa un terzo del campione imporre al partner che vestiti indossare, che amicizie frequentare e tenere sotto controllo gli spostamenti o il cellulare, sono veri e propri gesti d’amore.
Anche il 40% delle ragazze sono convinte che tali gesti rappresentano forme d’amore. Ancora, il 18% delle giovani ritiene che spesso durante i rapporti sessuali, anche quando le ragazze dicono di no, in realtà vorrebbero dire sì. Questo, a fronte del 38% dei ragazzi che sostengono tale affermazione.
“Questi dati riflettono una percezione distorta della violenza di genere e del consenso per una buona parte di adolescenti – ha spiegato la Fondazione Libellula, aggiungendo che tutto ciò deriva dalla cultura dello stupro – Una pseudocultura che minimizza gli effetti dello stupro arrivando perfino a colpevolizzare le vittime, abbracciando l’idea che l’uomo sia strutturalmente un predatore e la donna una preda sessuale”.
L’educazione a partire dalle scuole per contrastare il fenomeno dei femminicidi
Questi dati, in effetti, riflettono la necessità di educare le nuove generazioni sui rapporti e sull’amore. Ancor di più, testimoniano che i femminicidi sono diretta conseguenza di una visione distorta delle relazioni e della figura della donna, visione che viene innestata, per poi radicalizzarsi già a partire dalla tenera età.
Per femminicidio si intende, secondo la definizione fornita dalla Oxford Languages, una “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.
Ciò testimonia che la pratica è strettamente legata a retaggi culturali, che ora devono essere modificati. Ѐ fondamentale e urgente far capire agli adolescenti che non è vero che un uomo ha bisogno di una donna che si prenda cura di lui (ne sono convinti circa il 47% dei ragazzi esaminati e circa il 25% delle ragazze), che è una bugia che le donne hanno bisogni di un uomo che le protegga (il 49% dei ragazzi la pensa così a fronte del 27% delle ragazze) e che è assolutamente falso che un ragazzo sia più interessato al sesso rispetto a una ragazza (un adolescente su tre la pensa così).
“Le scuole sono sempre più inaccessibili per proposte di educazione sessuale, affettiva, relazionale e al consenso”, denuncia il gruppo di Roma del movimento transfemminista Non Una Di Meno, aggiungendo, inoltre, che è necessario attivarsi perché nessun’altra donna venga mai più uccisa da un uomo e nessun altro ragazzo cresca come un “figlio sano del patriarcato”.