Davvero oggi il problema è che i giovani non vogliono lavorare e fare gli operari? A questa domanda ha risposto Edi Lazzi, Segretario generale della Fiom-Cgil di Torino, che ha raccontato dettagliatamente in una recente intervista qual è la situazione oggi dei lavoratori in Italia.
C’è chi dice che i giovani di oggi non hanno voglia di lavorare e chi invece sostiene che tra di loro ci siano menti brillanti, che però non trovano in Italia oggi il giusto spazio per potersi esprimere al meglio e, soprattutto, chi possa credere abbastanza in loro da aiutarli a crescere. Partendo da questo assunto di base Edi Lazzi ha detto la sua sulla situazione dei giovani operai nel Belpaese.
In Italia davvero i giovani non vogliono lavorare come operai?
“I giovani non vogliono più fare gli operai? Tutte balle. La verità è che le nuove generazione non vogliono più essere costrette a fare lavoretti a termine e mal pagati nelle fabbriche come negli uffici”. Questa – a cura di Edi Lazzi, appena riconfermato dai delegati di Fiom Torino alla guida del sindacato dei metalmeccanici (14 mila iscritti circa) per altri quattro anni – è un po’ quella che potremmo definire una fotografia della società moderna, in cui da un lato vi sono le “vecchie scuole”, che vedono i giovani come svogliati, incapaci di assumersi responsabilità, poco volenterosi e dall’altro ragazze e ragazzi invece desiderosi di trovare un lavoro, ma che sia all’altezza delle loro aspettative.
Questo stesso discorso, traslato nel mondo della cucina, aveva dato vita durante la primavera, quindi solo pochi mesi fa, una scia di polemiche infinite, dopo che Alessandro Borghese, noto chef italiano, aveva lamentato la mancanza di personale nel suo ristorante milanese. Secondo lui la colpa era dei giovani, che non accettavano le sue offerte di lavoro, perché presi dalla voglia di trascorrere i weekend in giro (quando, si sa, il lavoro del cuoco e del cameriere si concentra soprattutto dal venerdì alla domenica). Alla sua voce si era aggiunta quella di Flavio Briatore, noto imprenditore che vanta una serie di locali in giro per il mondo, che aveva dato man forte a Borghese, dando però la colpa di tutto al reddito di cittadinanza, che i giovani percepiscono e che quindi induce loro a non voler più lavorare potendo contare comunque su entrate costanti mensili.
Loro – insieme ad una massa di ristoratori e imprenditori – avevano formato quella che potremmo definire una fazione, a cui dall’altro lato si contrapponeva quella formata invece da chi sosteneva a gran voce che la colpa non era dei giovani, ma dei datori di lavoro che offrivano loro pochissime garanzie, contratti da fame letteralmente e spesso anche un trattamento superbo e poco rispettoso. Un esempio erano Lino Banfi e sua figlia Rosanna, proprietari di un ristorante a Roma e fautori di questa tesi.
Non volendo distogliere il focus da Lazzi, questo era più o meno lo stesso discorso, ma in un altro settore, a dimostrazione che i ragazzi e le ragazze sono mal visti praticamente ovunque al giorno d’oggi. Ormai è opinione comune che abbiano voglia di fare poco e niente. Eppure fortunatamente c’è ancora chi li sostiene, li appoggia, cerca anzi di rendere loro più facile il cammino verso la realizzazione professionale, spesso irto di ostacoli talmente alti, da far venir meno la voglia dei giovani di andare avanti.
Uno di questi è appunto Edi Lazzi, che in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera ha assicurato che uno dei temi centrali dell’azione sindacale delle tute blu della Cgil sarà il contrasto alla precarietà.
Il racconto di Edi Lazzi
“Ho girato in un lungo e in largo le fabbriche del territorio. Ho raccolto trenta storie di giovani precari. Voglio farne un libro. Perché dietro quelle speranze tradite c’è il malessere di una generazione che va ascoltata”: con queste parole Edi Lazzi ha riassunto la situazione attuale dei lavoratori in Italia. Ma non finisce qui, perché nella lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera ha finalmente spezzato una serie di pregiudizi, che riguardano soprattutto i più giovani.
C’è infatti oggi – parliamo di imprenditori ovviamente – chi sostiene che il lavoro c’è, ma che a mancare siano i lavoratori. Che in pratica è un modo “edulcorato” (ma neanche troppo) per dire “se lo volessero davvero i giovani un lavoro lo troverebbero, il problema principale è che non hanno voglia di fare nulla”. Questo discorso però ha chiaramente alcune crepe.
E qui subentrano le parole di Edi Lazzi, che spiegano brevemente quali sono i tasselli mancanti che non ci impediscono di vedere chiaramente com’è fatto il puzzle: “Se per lavoro s’intende quello in somministrazione pagato 800 euro al mese, comprendo bene perché certe aziende fatichino ad assumere. Il nostro impegno per il futuro sarà proprio quello di fare argine contro la precarietà. E non escludiamo azioni di lotta e di mobilitazione”.
Insomma il problema non è il lavoro in sé che manca, ma è il tipo di offerta, il tipo di contratto, il tipo di tutela proposta che fanno acqua da tutte le parti. Come afferma lo stesso Lazzi, oggi il vero problema è che il tasso di precarietà aumenta sempre di più e nel frattempo le fabbriche chiudono.
Oggi i dati Anpal Excelsior dicono che sono (anche, non solo) gli operai una categoria manchevole in Italia, nel senso che ce ne sarebbe bisogno, ma non si trovano da nessuna parte. E anche qui ci pensa il Segretario generale della Fiom-Cgil di Torino a darci una spiegazione concreta, senza troppi giri di parole: “Conosco tante aziende che hanno bisogno di personale ma a termine. Chi invece vuole assumere specialisti e non li trova è perché non vuole investire nella formazione. Non esiste un tornitore esperto a 20 anni. Va formato”.
Qui si apre un altro problema: la scuola dovrebbe formare i lavoratori, ma appunto dovrebbe, ma di fatto a quanto pare non lo fa nel modo adeguato. Ecco perché, secondo Lazzi, dovrebbero essere le imprese a investire in capitale umano.
A questo si aggiunge il “grave problema salariale” che abbiamo in Italia. E anche qui è sempre il segretario generale a mostrarci questa vicenda da un altro punto di vista: negli ultimi anni, mentre il costo della vita è aumentato, gli stipendi sono rimasti più o meno sempre allo stesso livello. Secondo lui insomma “Bisogna rimettere mano alla politica industriale”. Sicuramente però il cammino sarà molto lungo.