A quasi 43 anni dalla strage della stazione di Bologna, i giudici della Corte d’Assise della città emiliana, condannando anche Paolo Bellini all’ergastolo come esecutore materiale, hanno riconosciuto che uno dei mandanti è stato Licio Gelli, Maestro venerabile della loggia massonica P2, morto a dicembre del 2015 a 95 anni.
Non c’era, però, solo il massone toscano tra i mandanti della strage che ha causato la morte di 85 persone il 2 agosto del 1980 a Bologna, ma anche Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti ma che, secondo i giudici, la morte “non chiude il dovere della memoria“.
Il 2 agosto del 1980 alle 10:25, alla stazione di Bologna, un ordigno a tempo contenuto in una valigia lasciata incustodita è scoppiato causando la morte di 85 persone e ferendone altre 200. Uno degli ultimi atti della strategia della tensione, iniziata con le bombe di piazza Fontana a Milano del dicembre del 1969, dopo decenni di depistaggi, insabbiamenti, ha finalmente trovato uno spiraglio di verità, come da sempre chiedono i parenti delle vittime.
Se tra gli esecutori materiali, hanno detto i giudici della Corte d’assise di Bologna, c’era anche Paolo Bellini, condannato all’ergastolo proprio oggi, oltre a Gilberto Cavallini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, tra i mandanti, invece, c’era anche Licio Gelli, Maestro venerabile della loggia massonica Propaganda Due, P2.
“Possiamo ritenere fondata l’idea, e la figura di Bellini ne è al contempo conferma ed elemento costitutivo, che all’attuazione della strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D’Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo“, sono le conclusioni a cui sono arrivati dalla corte presieduta da Francesco Caruso.
Nel documento di quasi 2000 pagine, in cui si è motivata la condanna in primo grado all’ex terrorista di Avanguardia Nazionale, movimento di estrema destra, di Stefano Delle Chiaie, che operava durante gli anni di piombo, non viene citato solo il massone toscano, ma anche Umberto Ortolani, eminenza finanziaria della loggia, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, come già detto anche dalla procura generale nel 2020. Nonostante siano tutti deceduti, e quindi nessuna pena possa essere a loro comminata, i giudici bolognesi hanno detto che la loro morte “non chiude il dovere della memoria“.
L’esigenza di identificare i mandanti, hanno spiegato ancora, non è “logico-investigativo, ma un punto fermo” si legge nelle motivazioni. “La strage di Bologna – ha ragionato la Corte – ha avuto dei ‘mandanti’ tra i soggetti indicati nel capo d’imputazione, non una generica indicazione concettuale, ma nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario e talmente corposo da giustificare l’assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della strage di Bologna“.
Secondo i giudici “anche la causale plurima affonda radici nella situazione politico-internazionale del paese e nei rapporti tra estremisti neri e centrali operative della strategia della tensione sui finire degli anni Settanta“. Per loro, in conclusione, è “nella complessa realtà politica di quegli anni che vanno trovate le causali della strage, una causale la cui individuazione va compresa allargando ancora di più il campo di osservazione cui ci si è dovuti necessariamente contenere in questo processo“.
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