Il 2022 non è stato l’anno del Partito democratico. Iniziato con un cambio di rotta nella rielezione di Sergio Mattarella come presidente della Repubblica, con lo stesso capo dello Stato che non sarebbe voluto “tornare” al Quirinale, si è trasformato dopo le politiche del 25 settembre in un’eterna crisi d’identità che ha trascinato verso il basso i consensi. Se non bastasse, si è aggiunto anche lo scandalo Qatargate al Parlamento europeo a minare nelle fondamenta quello che era il secondo schieramento in Italia.
Ora, in cerca di una guida che possa risollevare le sorti della sinistra italiana, non mancano i battibecchi tra l’una e l’altra corrente. L’ultimo atto è stato scritto da Dario Franceschini, strenuo sostenitore – assieme alla moglie, Michela Di Biase -, di Elly Schlein alla segreteria, e quindi a quel posto che Enrico Letta non ha lasciato formalmente, ma quasi. Ecco, a modo suo, all’ex ministro della Cultura ha risposto anche Stefano Bonaccini, il candidato più accreditato a diventare il prossimo leader del Pd.
La sinistra è in crisi, da tempo, per lo meno lo è il Partito democratico, agitato da correnti, in cerca di un’identità che, forse, neanche il Congresso che verrà riuscirà a restituire. C’entra, sicuramente, l’ascesa di Giorgia Meloni, della sua destra sociale, di un nuovo modo di fare politica a cui i dem non si sono ancora abituati, ma c’entra soprattutto il fatto che nello schieramento, nato nel 2007 sotto l’egida del riformismo, del progressismo e dell’europeismo, manchi un leader forte, e lo scollamento da una società che non va più nello stesso senso di allora, colpita com’è stata e com’è tuttora dalla crisi finanziaria, da quella pandemica, da quella energetica.
I consensi, ogni settimana, calano di qualche decimo percentuale, e dal 25 settembre, il giorno delle elezioni politiche che hanno segnato la vittoria del centrodestra, si perdono sempre più pezzi, anche in termini di uomini. Non sono più i Matteo Renzi o i Pierluigi Bersani che vanno via sbattendo la porta (lo ha fatto più il primo che il secondo), sono indagati di lusso nel terremoto che ha investito il Parlamento europeo, il Qatargate per intenderci, che minano ancora di più nelle fondamenta un partito che ha bisogno di rinnovarsi, e di ritrovare sé stesso, dalle basi e dalla società.
La classe dirigente si interroga sui nomi, sulle alleanze (MoVimento 5 stelle o terzo polo, questo è il dilemma), che cambiano da territorio a territorio, i militanti, gli elettori vorrebbero essere ascoltati per tornare a vincere e sedersi davvero comodi nello scranno più alto di Palazzo Chigi. Esserci arrivati, pur da sconfitti (e dopo oltre un anno), nel 2019, non ha aiutato a interrogarsi su cosa non abbia funzionato. Il momento, quindi, è ora, ma anche adesso che governare sembra quasi impossibile, ci si perde dietro polemiche che servono solo a dimostrare che un’anima unitaria non c’è, e probabilmente non ci sarà mai.
Ieri, per esempio, in un’intervista al Corriere della Sera, l’ex ministro dei Beni culturali Dario Franceschini ha lanciato un appello ai candidati alla segreteria: servono volti giovani per cambiare il corso del partito e riavvicinarlo alle persone. Un monito, in pratica, a tutti, da Stefano Bonaccini a Gianni Cuperlo passando per Paola De Micheli, che ha dimostrato ancora una volta da che parte sta il presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari: sì, con Elly Schlein.
Una risposta a Franceschini, che è stato anche lui segretario del Partito democratico in passato, e che tra le aule del Parlamento si muove da ben sette legislature, è arrivata dallo staff del presidente dell’Emilia Romagna, perché in parte quell’attacco era rivolto a lui, a quel Bonaccini che tutti i sondaggi danno in vantaggio sugli altri concorrenti per le primarie del 19 febbraio.
Al Nazareno, si è sfogato con i suoi, il candidato alla segreteria c’è stato un annetto come responsabile enti locali, poi è andato via per scendere in campo davvero, e ha vinto le elezioni per due volte in quella che rimane una delle roccheforti dei dem.
Tra i volti giovani, quelli che non possono essere additati delle sconfitte che in dieci anni hanno contribuito al clima di incertezza che si sta vivendo in questo momento, non può rientrare lui, al massimo si deve guardare a chi punta quel dito, lo stesso senatore che non si è neanche candidato in un collegio uninominale alle politiche di settembre, ma che ha vinto la sua partita per un posto comodo a Palazzo Madama come capolista in Campania, quindi al plurinominale.
Che i rapporti tra i due non siano idilliaci è cosa nota, ma altri esponenti del Pd credono di aver capito la ragione di questa sferrata contro il governatore emiliano: Bonaccini, così come cercò di fare Renzi qualche anno fa, vorrebbe cambiare parte di quella classe dirigente che da anni rimane uguale a sé stessa.
Francesca Puglisi, ex parlamentare e un tempo vicinissima alla corrente dell’ex ministro della Cultura, lo ha spiegato chiaramente, mentre Lia Quartapelle ha detto che nell’intervista di Franceschini “manca l’unica cosa importante, e cioè che sia un’opinione personale, non l’indicazione per una corrente. Caro Dario, non si lascia spazio al nuovo se le vecchie correnti semplicemente si spostano su un altro candidato segretario”, che è più o meno lo stesso concetto che ha espresso anche Alessia Morani: non si può predicare bene e razzolare male, ci vuole coerenza, e farsi da parte se si pensano determinate cose.
A difenderlo, comunque, ci ha pensato Stefano Vaccari, un esponente della corrente di Nicola Zingaretti: “Non capisco lo scandalo per le sue parole – ha detto -. Ha sollevato un punto su cui andrebbe fatta da parte di tutti una seria e approfondita riflessione”. Sempre sui nomi, in ogni caso. E le idee? E i programmi? A quelli, a quanto pare, ci penseranno oggi Bonaccini e quella che potrebbe essere la sua vice, Pina Picierno, vicepresidente dell’Europarlamento e leader di Occupy Pd, un tempo vicina a Franceschini, ora invece dalla parte del numero uno dell’Emilia Romagna.
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