I matrimoni omosessuali continuano ad essere al centro di un dibattito: Church of England ha deciso di non consentire che vengano celebrati in Chiesa e questo ha dato il via a una serie di proteste da parte della comunità e delle associazioni omosessuali e Lgbtq+, ma pare che non ci sia nulla da fare perché qualcosa cambi nel breve periodo.
Siamo nel 2023, eppure ancora ci troviamo a parlare ripetutamente delle unioni omosessuali: tra matrimoni che in molti Paesi è impossibile celebrare, adozioni che continuano a essere un tema controverso che spacca praticamente ogni volta in due l’opinione pubblica, sembra che trovare un punto di vista unitario – soprattutto a livello governativo – sia assai complicato. Tra i Paesi che però quantomeno hanno reso legale i matrimoni omosessuali troviamo il Regno Unito, eppure la Church of England ha fatto un passo indietro rendendo impossibile la loro celebrazione in Chiesa.
Il matrimonio omosessuale in Europa
Il tema delle unioni Lgbtq+ è più caldo che mai attualmente. Dopo anni, lotte, sofferenza alcuni Paesi hanno deciso di equiparare i matrimonio omosessuali a quelli definiti “tradizionali “(e chissà che un giorno non vengano definiti tradizionali entrambi). Restando all’interno dell’Unione Europea si contano 19 Paesi in cui questi sono legali e cioè Andorra, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito. 19 governi insomma hanno deciso di compiere un passo avanti verso un mondo in cui tutti possano sentirsi liberi di decidere autonomamente per il loro futuro di coppia. 19 Paesi hanno optato per il libero arbitrio, che è più importante delle opinioni personali. In sostanza, 19 Stati hanno scelto di rendere liberi tutti, a prescindere dal loro orientamento sessuale.
L’Italia, ahinoi, su questo fronte (e non solo) è rimasta indietro. Solo il 31 gennaio 2017 – quindi parliamo di quasi sei anni fa – la Cassazione riconobbe, con la ormai storica sentenza numero 2487, il primo matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Ma attenzione, perché non è come sembra: questo non era stato celebrato all’interno dei confini nostrani, ma all’estero, quindi in sostanza la Corte stabilì semplicemente che anche nel Belpaese potessero essere riconosciute le unioni, a patto che almeno uno dei due coniugi fosse cittadino in uno dei Paesi UE i cui il matrimonio omosessuale è legale.
Solo l’8 luglio 2022 qualcosa finalmente è cambiato: quella è la data della sentenza della Corte Costituzionale, secondo cui le coppie omosessuali possono unirsi in matrimonio. La stessa poi è diventata legge il 30 settembre 2022.
Come abbiamo anticipato, però, il Regno Unito è tra la (non molto lunga) lista di Paesi che consente invece questo tipo di unioni: eppure c’è qualcosa che non torna, perché pare che la Church of England abbia posto un veto alle nozze in chiesa.
La decisione della Church of England
La Church of England ha deciso di dire no ai matrimoni omosessuali in chiesa, ma sì alla benedizione per le unioni civili dello stesso sesso e lo renderà ufficiale nel sinodo previsto il mese prossimo.. Questo è quanto si evince dalle nuove linee guida pastorali, che ha tanto il sapore di compromesso, cosa che a quanto pare non ha affatto soddisfatto la comunità e le associazioni omosessuali e Lgbtq+ inglesi.
Guardando la situazione dall’Italia – considerando cioè la chiusura della Chiesta Cattolica su questo tema – potrebbe sembrare una via di mezzo accettabile tra cultura radicata da secoli, che fatica a riconoscere alle coppie gay gli stessi diritti di quelle considerate “tradizionali” (cioè formate da uomo-donna e non da persone dello stesso sesso) e le nuove consapevolezze evolute nel tempo che invece pongono tutte le coppie sullo stesso piano.
Eppure, addentrandoci meglio in questa fitta nebbia fatta di pregiudizi, possiamo capire subito – e questo a quanto pare è quello che ha pensato la comunità Lgbtq+ – che sia comunque un modo per dire “va bene che le coppie gay possano sposarsi, ma devono restare un passo indietro rispetto alle altre, perché i loro diritti non sono comunque uguali”. E questo non va bene.
In effetti le associazioni parlano di “briciole lasciate alle coppie dello stesso sesso” e di “ennesima discriminazione delle autorità religiose che ci considerano di seconda classe”. Ma non possiamo neanche dar loro torto, perché per la Chiesa di Inghilterra, in ogni caso, resta in piedi il dogma secondo cui il matrimonio sia comunque “un’unione tra uomo e donna”. E questo sembra quantomeno coerente con la decisione presa dai vescovi di non celebrare unioni religiose.
Ma non finisce neanche qui, perché a quanto pare in realtà anche il secondo punto – cioè quello riguardante la benedizione per le unioni civili dello stesso sesso – contiene comunque un “ma”: queste, infatti, saranno sì concesse, ma su base volontaria dei religiosi, quindi questi ultimi, a conti fatti, potrebbero anche rifiutarsi di officiare la cerimonia. E a nulla sono servite e stanno servendo le proteste in tutto il Paese: la decisione ormai è presa.
Del resto, questo compromesso è arrivato dopo quasi sei anni di negoziati, quindi pare che ormai il dado sia tratto e che poco si possa fare (almeno per il momento, magari tra un po’ di tempo qualche altra cosa si smuoverà). Ed infatti il vescovo di Oxford, Steven Croft, uno dei sostenitori della celebrazione in Chiesa dei matrimoni omosessuali, ha parlato di “un grande passo in avanti per la Chiesa di Inghilterra”.
Nel frattempo – a dimostrazione di quanto invece le figure legate alla Chiese, almeno dal punto di vista tecnologico, siano evolute – l’Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, considerato la massima figura della fede anglicana, ha scritto su Twitter: “La decisione riflette e sintetizza la diversità di vedute all’interno della Church of England, cosa che mi soddisfa molto”.
Insomma per adesso almeno questa è la situazione britannica, che resta comunque più “moderna” rispetto a molti altri Paesi.