Ci si è chiesti spesso a che punto fosse il Covid, quanto ci si dovesse preoccupare. Se i sintomi, diretta conseguenza del contagio, sarebbero tornati più aggressivi con le nuove varianti o se la situazione sarebbe migliorata. Una corsa sfrenata verso l’endemia che richiede comunque i suoi tempi per dare dei frutti. Ma ora delle risposte importanti stanno arrivando. Un nuovo studio, infatti, ha evidenziato quali sono attualmente i sintomi che presenta, per la maggioranza delle persone, il Covid, se si è vaccinati o se non lo si è. La risposta è, per certi versi, sorprendente e potrebbe dare la linea ai prossimi provvedimenti presi dal governo. Ecco come stanno le cose.
Oh no, il Covid! Il senso di disagio, paura, fretta del primo periodo al primo tampone positivo, ora non c’è più, sostituto da altro. Sostituito forse da una sensazione di sorpresa, dalla consapevolezza che le cose si sistemeranno – nella maggioranza dei casi -, dalla necessità di curare i sintomi e non di pensare al peggio. E ciò sta succedendo sostanzialmente per il fatto che il virus è cambiato, soprattutto nei suoi esiti, come è cambiata l’immunità che si trova a fronteggiarlo, nel momento in cui lo incontriamo ed è in grado di esprimere la malattia. Il quadro attuale, secondo gli ultimi studi, presenta una gamma ben diversa di sintomi rispetto a quelli iniziali. E che si traducono in una pressione molto diversa sul sistema sanitario.
La stagione del tardo autunno, ormai alle porte dell’inverno, era molto temuta dai massimi organismi sanitari internazionali, anche in Italia. Questo perché, di norma, per tutti i virus funziona un po’ così: arriva il gelo, la pioggia, la neve e le cose cambiano. Soprattutto cambiano i numeri e i dati di quanto succede. Quest’anno ci troviamo a fare i conti con l’influenza australiana che dopo due anni bardati per il Covid è tornata con sempre più forza e aggressività. Allo stesso tempo, come lo scorso Natale, molti si aspettavano anche che crescessero anche i casi di Covid-19. Un’impennata che, per ora, non si è verificata nei termini e nelle modalità previste.
Questo non è successo per vari motivi. Aver vaccinato la stragrande maggioranza della popolazione di certo ha significato un importante passo in avanti, allo stesso modo sono sempre di più le persone che hanno sperimentato in prima persona il virus proveniente da Wuhan e si sono creati un’immunità sempre più forte. Non si sa esattamente quale delle due cose conti di più, sicuramente il connubio di entrambe, ma ora i dati relativi il Covid sono decisamente diversi e hanno soprattutto degli esiti diversi sulla nostra salute, una volta contratto il virus.
Proprio di questo si è occupata la ricerca della Zoe Health Study, in cui una serie di scienziati provenienti dal Massachusetts General Hospital, dalla Harvard Medical School e dal King’s College di Londra si sono occupati di indagare quale siano, allo stato attuale delle cose, i sintomi più diffusi e quali, invece, sono sempre meno comuni. La ricerca, inoltre, si è divisa per scaglioni, analizzando cosa è più facile che succeda se si è vaccinati con più dosi, con una sola dose o se si è completamente scoperti dal vaccino.
In linea generale, si è capito che la sintomatologia più comune per il Covid è sempre più vicina a quella di una comune influenza. Per chi si è sottoposto alla vaccinazione più volte ora i campanelli d’allarme più comuni da ravvisare sono il mal di gola, la tosse e poi la rinorrea, il mal di testa e il naso chiuso. Si è visto anche che le persone in questa situazione guariscono in meno tempo. Se si ha solo una dose, infatti, le cose cambiano, anche se non di moltissimo. Il sintomo più comune, in questo caso, è il mal di testa. Poi il naso che cola, il raffreddore, gli starnuti e il mal di gola. Anche in questo caso, si ravvisa la presenza di tosse persistente.
La cosa cambia ancora se si prendono in considerazione le persone che non hanno mai fatto il vaccino. La più grande differenza, in questo caso, è rappresentata dalla febbre che torna in maniera più frequente rispetto alle altre due categorie. Ci sono, ovviamente, anche mal di testa, tosse, mal di gola e raffreddore. In questo caso, può esserci anche la perdita dell’olfatto. Si può notare, dunque, come rispetto alla prima fase del Covid le cose siano drasticamente cambiate. Sintomi tipici come la perdita del gusto sono completamente scomparsi tra quelli più frequenti e anche gli esiti gravi della malattia si notano in maniera del tutto diversa. La vera novità è che chi è vaccinato, stavolta, può davvero sperare di non incorrere in uno stato febbrile, che comunque non rientra tra le conseguenze più temute.
Questo ci dimostra come di passi in avanti ne siano stati fatti, ma anche che questo periodo potrebbe comunque rendersi decisamente complicato per il sistema immunitario. Infatti, i sintomi presentati dal contagio Covid somigliano molto a quelli dell’influenza australiana o dovuti a quelli che molti genitori chiamerebbero “malanni di stagione”. Ricorrere al tampone, per questo motivo, resta una risorsa particolarmente preziosa per fare diagnosi differenziale.
Da sottolineare, però, anche la modalità con cui è stato effettuato lo studio. Si tratta di un’app disponibile sia per Android, sia per iOs che si occupava di raccogliere i dati di pazienti affetti da Covid. Un limite importante, però, è che non prevedeva differenze tra le varianti circolanti, ma si occupava solo dei sintomi.
Quindi, un piccolo sospiro di sollievo si può tirare, ma non si può comunque allentare la presa o almeno non del tutto. Infatti, ci sono altre due varianti che potrebbero emergere con forza sempre maggiore nel prossimo futuro. Si tratta di Cerberus e Gryphon. Chiariamo subito: Omicron 5 resta sempre quella prevalente allo stato attuale delle cose e con i sintomi che vi abbiamo descritto poco sopra.
Le altre due varianti, però, si stanno espandendo con sempre più velocità e i dati hanno rivelato anche fino a che punto. Cerberus, infatti, è passata dal 27,6% al 32,6% nel periodo centrale di novembre, secondo il bollettino diramato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per Gryphon, invece, siamo al 5% partendo dal 4,2%. I dati della seconda non dovrebbero allarmare più di tanto – penserete – ma si tratta della variante più immunoevasiva di tutte e quindi va tenuta particolarmente sott’occhio. Infine, Centaurus, di cui già si parlava tanto la scorsa estate, è passata dal 6,8% al 7,8%. È bene sottolineare che si tratta di dati a livello mondiale, non riferiti solo all’Italia.
Tornando, invece, a Cerberus, quella che per numeri si è diffusa con maggiore importanza negli ultimi mesi, come riporta “Repubblica”, Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano, ha detto come stanno attualmente le cose: “Stiamo cominciando a conoscere meglio Cerberus. È confermato che tende a manifestarsi soprattutto nelle alte vie respiratorie, causando sintomi simili a quelli dell’influenza, come raffreddore, tosse stizzosa e mal di gola. Fermo restando che è da capire quanto ciò sia ‘demeritò di un virus meno patogeno e quanto merito dell’immunità che si è creata nella popolazione”.
Insomma, di strada da fare ce n’è ancora tanta e deve essere percorsa con i principi della responsabilità del singolo cittadino, ma anche delle istituzioni. Gli allarmismi non sono più necessari e non nelle modalità di un tempo, come non lo è neppure la costante privazione di una vita libera, come la ricordavamo prima della pandemia. Non sappiamo quanto durerà ancora, ma diversi passi in avanti sono stati fatti. Le risposte adottate, in primis quella del vaccino, hanno funzionato e funzionano. Quella corsa sfrenata all’endemia magari continuerà ancora per un po’, come continuerà la necessità di aggiornarsi e di rispettare le regole previste, ma la nostra libertà come cittadini sta tornando in maniera sempre più prepotente. E forse questa è la cosa più bella che si può leggere tra le righe degli studi.
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