Che il governo di Giorgia Meloni stia lavorando bene ormai non ci sono dubbi, specialmente per gli elettori di Lazio e Lombardia che hanno premiato i candidati del centrodestra, rispettivamente Francesco Rocca e Attilio Fontana, mandandoli chi per la prima volta, chi per la seconda, ad amministrare la regione. Ci sono, però, anche altri dati che fanno presupporre che l’operato della maggioranza piaccia agli italiani, e sono dati dai sondaggi politici.
Dopo settimane di discesa, infatti, Fratelli d’Italia, ovvero il partito della premier, che ha fatto incetta di voti sia per la Pisana, sia per il Pirellone, per le rivelazione di Swg per il tg di La7, torna a crescere, e con lui lo fanno anche il MoVimento 5 stelle (i principali sconfitti, assieme al terzo polo, di questa tornata elettorale), il Partito democratico e anche la Lega di Matteo Salvini, che adesso stacca per davvero la confederazione di Carlo Calenda e Matteo Renzi, uscita con le ossa rotte dalle urne lombarde.
Con il 25,18% in Lombardia (sotto la media delle politiche del 25 settembre) e il 33,62% nel Lazio (ben oltre la media), Fratelli d’Italia si è confermato anche alle elezioni regionali per il rinnovo del consiglio del Pirellone e della Pisana il primo partito in Italia. Non una novità, è vero, piuttosto una conferma che non può che far gioire il centrodestra, e la prima presidente del Consiglio donna della storia repubblicana italiana, Giorgia Meloni, anche al netto delle tante persone che non hanno risposto presente alla chiamata alle urne.
Una conferma che arriva di pari passo a un’altra buona notizia, oltretutto. Perché anche per quanto riguarda il progetto nazionale, FdI, che nell’ultimo periodo era stato scosso dalle polemiche, torna a crescere secondo i sondaggi di Swg per il tg di La7. In una settimana, infatti, lo schieramento della premier è passato dal 30,6% dei consensi potenziali, al 31% tondo, crescendo dello 0,4% e molto più degli altri.
Sicuramente il doppio rispetto al MoVimento 5 stelle di Giuseppe Conte che, però, alle elezioni di domenica e lunedì può essere considerato il vero flop. Nella regione che verrà di nuovo amministrata da Attilio Fontana, per esempio, i pentastellati sono riusciti a raccogliere solo il 3,93% dei consensi, e tanto meglio non è andata nel Lazio, in cui la giornalista Donatella Bianchi, supportata solo gruppo dell’Avvocato del popolo e da Sinistra Italiana, ha raccolto il 10,76% totale con solo l’8,54% delle preferenze che arrivano proprio dall’M5s.
È vero che sia la Lombardia, sia la regione della Capitale non sono esattamente tra le roccheforti dello schieramento, ma i numeri arrivati sono molto lontani da quelli che invece li vedono come seconda forza, al 17,7% – con uno 0,2% in più rispetto alla settimana scorsa -, a livello parlamentare.
Al contrario, invece, va il Partito democratico di (ancora per poco) Enrico Letta. I numeri registrati dai dem sono molto più entusiastici a livello regionale rispetto a quelli delle proiezioni: se, infatti, alle elezioni si sono raccolti in media poco più del 20% dei voti, alle prossime (e lontanissime) politiche, il Nazareno potrebbe arrivare al 15,1%, lo 0,3% in più rispetto al 6 febbraio, in cui si stava ancora sotto il 15%. Ed è positivo, tanto che uno dei due candidati alla segreteria, ovvero Stefano Bonaccini, ha lanciato un monito alle altre opposizioni che, senza di loro, non si va da nessuna parte.
E forse è vero, forse no, considerato che sia Francesco Rocca, sia Fontana sono andati ben oltre il 50%, a dimostrazione, quindi, che anche uniti, insomma, si fa davvero poco in confronto al centrodestra.
Anche perché, a uscire con le ossa rotta da questa tornata elettorale, solo un po’ di meno rispetto ai pentastellati, è anche il terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, tanto che il frontman, nonché leader di Azione, ha commentato il risultato dicendo che non sempre gli elettori hanno ragione. Un ragionamento piuttosto semplicistico della sconfitta, soprattutto quella rimediata da Letizia Moratti contro il suo ex numero uno, ma anche contro Pier Francesco Majorino che l’ha praticamente triplicata. Non solo, perché se poi si guardano i voti alle liste, i due ex dem hanno subito un tracollo della metà delle preferenze che si danno a livello nazionale. E anche là, le cose non vanno bene, perché rispetto a una settimana fa, il terzo polo ha perso lo 0,3%, arrivando al 7,8% e allontanandosi ancora di più da una Lega che si è ripresa, almeno in Lombardia, un po’ del pubblico che aveva perso in favore di Meloni.
E sì, rispetto a cinque anni fa questo dato non può essere letto anche con una vena di scetticismo, ma è un passo avanti perché, di problemi, nell’ultimo periodo se se ne sono dovuti risolvere a via Bellerio, soprattutto quelli neanche troppo velati tra il segretario federale, Matteo Salvini, e colui il quale ha fondato il partito, che allora si chiamava Lega Nord, Umberto Bossi. Il punto è che Fontana era il candidato del vicepremier, ed è lui che è stato eletto, quasi coram populo, ed è da qui che nasce una sorta di vittoria a metà, perché, comunque, dicevamo il grosso dei voti li ha portati la leader di FdI. In ogni caso, poteva andare peggio, e poteva andare peggio perché si poteva perdere qualcosa anche a livello nazionale, cosa che non è successa perché, anzi, i decimali di differenza sono calcolati in positivo, non in negativo, e dal 6 febbraio a oggi sono 0,2, e portano il Carroccio all’8,9%.
Poi c’è Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi oscilla, oscilla sempre, raccoglie più in Lombardia che nel Lazio, ma resta là, a dare quella botta di voti che serve sempre, e forse permettere anche di vincere, come se fosse l’ago della bilancia. A livello nazionale la situazione è un po’ diversa, perché in una settimana si è ceduto lo 0,3%, e si è arrivati al 6,1% totale, non esattamente una bella cosa.
Quanto a chi oscilla per davvero da una parte all’altra del Parlamento, l’alleanza tra Verdi e Sinistra di Angelo Bonelli, Eleonora Evi e Nicola Fratoianni (che nel Lazio, per altro, si sono presentati divisi, i primi con Pd e terzo polo e quindi con Alessio D’Amato, gli altri con il MoVimento 5 stelle), loro guadagnano ancora lo 0,1% e sono ora al 3,6% totale, ampiamente sopra quella soglia di sbarramento che per loro non è stata una tagliola, ma che lo è stata, invece, per +Europa di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, ancora sotto il 3%, specialmente perché questa settimana hanno perso lo 0,2% e sono arrivati, appunto, al 2,8% dei consensi.
E se Sparta piange, Atene non ride. Perché a perdere è anche chi sta più sotto, come Per l’Italia con Paragone dell’ex senatore pentastellato ora al 2,2% contro il 2,3% della passata settimana, e Unione Popolare di Luigi De Magistris, che ha ceduto addirittura lo 0,3% ed è ad appena 1,7%, che per altro non si sono raggiunti neanche a livello regionale.
Ecco, di simile a quello che è fotografato in Lombardia e nel Lazio, c’è anche il dato preoccupante dell’astensionismo, aumentato ancora. Certo, arrivare ai livelli da record che si sono toccati tra domenica e lunedì nelle due regioni più importanti d’Italia, nonché quelle che hanno un reddito pro capite più alto della media nazionale, è davvero difficile, speriamo impossibile. Se, infatti, alle regionali sono andati a votare sono quattro elettori su dieci, il 40%, a livello nazionale ci andrebbero poco meno di tre su cinque, il 62% (una settimana fa era l’un percento in più), comunque troppo pochi per non capire che, anche i dati che sono stati descritti prima, devono essere letti sotto un’ottica diversa, da tutti, vincitori, vinti, uniti, divisi.
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