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Salute

I test antigenici per il Covid non sono molto affidabili

Il tampone antigenico è sicuro quanto quello molecolare? La risposta è semplice: no. Eppure continuiamo a prediligerlo, sia per il suo costo di gran lunga inferiore, sia per la sua capacità di darci risultati in pochissimi minuti. Uno studio, però, ha rivelato anche perché i due test non dovrebbero essere equiparati.

Tampone antigenico – Nanopress

Il tampone antigenico non è sicuro come il molecolare. Ce lo hanno detto tantissime volte, ma adesso, grazie a uno studio condotto da Andrea Crisanti, sappiamo anche perché.

Il tampone antigenico è meno sicuro di quello molecolare?

La pandemia non è finita, è inutile girarci intorno. Il peggio potrà anche essere passato, ma il meglio deve comunque ancora venire. Certo, ormai abbiamo accantonato le mascherine, che non si devono utilizzare obbligatoriamente praticamente quasi in nessun luogo, ma prima di dimenticarcene del tutto, dovrà passare almeno un altro po’ di tempo.

Il problema è che i contagi attualmente sono in risalita. E per capirci di più, basta pensare che nelle ultime 24 ore i positivi sono stati 34.444, mentre esattamente sette giorni fa erano solo, si fa per dire, 28.509.

Anche la situazione nelle terapie intensive non è idilliaca se pensiamo che oggi i ricoverati sono 25, mentre una settimana fa erano solo dieci e, ancora, considerando l’ultima settimana, il dato sta crescendo del 64,7%.

Variante – Nanopress

A questo punto, dopo quasi tre anni di pandemia, una domanda rimbomba nelle nostre teste: ma siamo sicurissimi che per scoprire di essere positivi bastino davvero solo i temponi antigenici? La risposta è arrivata da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications, condotto da Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova: e no, nessun test è sicuro come il molecolare.

Lo studio

Da più di un anno ormai il tampone antigenico è stato praticamente equiparato a quello molecolare in molti sensi: quando c’era il tanto discusso green pass, ad esempio, per i non vaccinati i due test erano complementari, cambiava solo la durata (48 ore in un caso, 72 nell’altro), ma tecnicamente la loro valenza era la stessa.
Oggi per dichiarare di essere guariti dal Covid basta anche solo il tampone antigenico, cosa che all’inizio della pandemia sarebbe sembrata assurda. Insomma, pare che ormai la scelta tra i due test sia indifferente, se non fosse per il loro prezzo: mentre il molecolare negli studi di analisi costa almeno 50 euro, il suo cugino di primo grado ne costa circa 10 in farmacia (senza considerare i kit fai da te, che arrivano a costare anche meno).
C’è poi da aggiungere che il rapido è appunto (quasi) immediato: dopo una decina di minuti dà già un risultato, ammortizzando così tempo e denaro. I passi compiuti dalla scienza hanno reso il tempo di attesa per i risultati del molecolare molto più rapidi, certo – oggi basta mezza giornata, quindi anche solo quattro-cinque ore, mentre all’inizio bisognava aspettare mediamente 48 ore – ma ovviamente dal punto di vista temporale non c’è storia.
Pensiamo al caso di una persona che si sveglia con un mal di gola improvviso (oggi anche questo può essere considerato un primo sintomi di virus), deve andare a lavoro alle 9 e vuole fare prima un tampone per essere sicuro di non contagiare nessuno. Sembra chiaro che la via più facile sia andare in farmacia e farsi fare un antigenico, che darà i risultati in pochi minuti. Con il molecolare, bisognerebbe prendere un permesso a lavoro, almeno per il tempo necessario per avere i risultati (facendolo alle 8 di mattina, non si avranno prima del primo pomeriggio mediamente).
Questo è un po’ il pensiero comune che si è diffuso in casa nostra nell’ultimo anno soprattutto, da quando cioè a livello normativo i due test sono stati equiparati per molti aspetti. Ma siamo sicurissimi che con quello rapido i risultati siano poi attendibili? Questa è una domanda che dovremmo farci tutti, perché tutti corriamo il rischio ogni giorno di avere a che fare con persone fragili, anziane, affette da malattie che possono compromettere il sistema immunitario.
Il dato da considerare subito è questo: con il tampone antigenico, il grado di sensibilità nelle ore successive al contatto con un positivo, è inferiore. Cosa significa? Tradotto in parole povere, è molto più facile avere un falso negativo. A questo si aggiunge un altro dato importantissimo: le varianti. Non sempre i rapidi riescono a scovarle, cosa che invece i molecolari riescono a fare ovviamente.
Lo studio preso in considerazione, infatti, ha esaminato una serie di tamponi fatti fino allo scorso anno, di cui il 60% erano antigenici. Quello che è emerso è assurdo: i medici non sono riusciti, soprattutto nel Nord Italia, a intercettare una variante che stava già girando, perché appunto i molecolari fatti erano troppo pochi. Questo ha fatto a sua volta ritardare l’avvio della sorveglianza epidemiologica.
In sostanza il limite è la ridotta capacità del rapido di intercettare mutazioni che non siano a carico della proteina Spike. In questo caso specifico, la variante derivava da una mutazione della conformazione della proteina N, che rappresenta il nucleocapside (l’involucro dell’Rna di Sars-CoV-2). Questa è più stabile della Spike, tanto da essere diventata il target per i vaccini e i farmaci.
Sostanzialmente secondo Crisanti il rischio è che, con il diffondersi dei tamponi antigenici, sarà difficile scoprire l’esistenza di nuove varianti e tenerle poi sotto controllo. Questo ovviamente renderà anche difficoltoso lo studio del virus: abbiamo potuto scoprire, ad esempio, che la variante Omicron riesce a saltare anche su vaccinazioni e precedenti contagi, arrivando quindi a infettare chiunque. La stessa cosa però potremmo scoprirla troppo tardi se continuiamo a fare quasi sempre test rapidi.
Lo stesso Crisanti ha poi affermato: “I nostri risultati gettano nuova luce sui limiti dei test antigenici di massa in assenza di test molecolari e sull’importanza di mantenere i test molecolari: non soltanto a fini diagnostici, ma anche per scopi di monitoraggio e sorveglianza”.
Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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