Il boss di Cosa Nostra Giuseppe Guttadauro torna in carcere dopo un periodo di arresti domiciliari a causa delle accuse di far parte della famiglia di Roccella.
La posizione del 70enne, soprannominato il ‘dottore’ di Cosa Nostra, si è aggravata ed è stato disposo l’arresto.
L’uomo di 70 anni era il primario dell’ospedale civico di Palermo, ma la sua occupazione principale era quella di esponente di spicco di Cosa Nostra.
Considerata la sua età, erano stati disposti il 12 febbraio gli arresti domiciliari, tuttavia, riesaminando le prove, gli inquirenti hanno stabilito che ci sono i presupposti per un arresto.
In passato, il boss fu coinvolto nell’inchiesta sulle talpe alla Dda in cui venne indagato Totò Cuffaro, ex presidente della Regione.
In particolare, secondo quanto emerso dalle indagini, Giuseppe Guttadauro era stato accusato di far parte della nota famiglia mafiosa di Roccella e per questo erano stati disposti a suo carico gli arresti domiciliari mentre suo figlio Mario Carlo, venne incarcerato perché cooperava con suo padre in diverse attività illecite di Cosa Nostra.
Giuseppe aveva gravi indizi a suo carico, infatti era accusato dell’associazione con Cosa Nostra, con cui aveva radicato profondi rapporti e con cui collaborava con funzioni strategiche, anche grazie al suo importante ruolo di primario.
Le indagini dei Carabinieri ovviamente non si sono fermate, anzi hanno portato alla luce sempre più elementi, inoltre sembra che il ‘dottore‘ non abbia rispettato gli obblighi legati agli arresti domiciliari e abbia avuto rapporti con persone che non abitavano con lui.
Giuseppe Guttadauro parlava con terze persone attraverso canali che, secondo lui, non erano intercettabili, ma i Carabinieri dei Ros lo hanno scoperto e sulla base di quanto emerso, la Procura ha richiesto una sostituzione della punizione, cambiando gli arresti domiciliari in custodia carceraria.
Il giudice per le indagini preliminari ha accettato la modifica, analizzando le prove e disponendo quindi l’immediato trasferimento in carcere.
L’uomo utilizzava mezzi di comunicazione che non erano previsti dal regime degli arresti domiciliari a cui era stato sottoposto, in particolare, comunicava tramite Telegram pensando di poter mandare avanti gli affari e sfuggire ai controlli.
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