Nelle aziende bullismo e mobbing sono ormai (quasi) all’ordine del giorno: questo è emerso da un’indagine condotta dal Centro Ricerche dell’Aidp (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Alcuni luoghi di lavoro non sono affatto sicuri per i dipendenti, che devono sentirsi vittima di bullismo e mobbing orizzontale frequentemente. Una recente indagine si è occupata di capire quanto sia diffuso questo fenomeno in Italia e attenzione: lo è probabilmente più di quanto immaginiamo.
Il luogo di lavoro dovrebbe essere un posto sicuro, uno in cui ci si sente tutelati anche dal punto di vista umano, in cui ci si esprime al meglio dal punto di vista professionale (ed umano) e basta. E invece nelle aziende italiani bullismo e mobbing orizzontale – vale a dire tra colleghi – sembrano essere quasi all’ordine dal giorno. Almeno questo è ciò che evince da un’indagine condotta dal Centro Ricerche dell’Aidp – Associazione Italiana per la Direzione del Personale – in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
L’analisi ha preso in esame circa 600 direttori del personale e professionisti delle risorse umane. La domanda che è stata posta loro è stata molto semplice: ci sono stati casi nell’azienda per cui lavori di abusi (sia fisici che verbali) e intimidazioni, che possano quindi essere ricondotti appunto a mobbing orizzontale e bullismo? La risposta del 30% dei partecipanti è stata sì.
Ma questo forse non ci sorprende neanche poi così tanto se pensiamo che, dati della Fondazione Libellula alla mano, pochissime settimane fa circa il 55% delle donne aveva affermato in un’altra recente indagine di aver subito sul lavoro discriminazioni, molestie, condizioni sfavorevoli alla loro crescita professionale.
L’unico tassello che abbiamo in più oggi? Sappiamo con estrema certezza che il fenomeno non riguarda solo le donne. Anche gli uomini non sono affatto immuni, anche se soprattutto alcune “categorie”.
Qual è la definizione di bullismo? Viene in nostro soccorso Wikipedia che ci restituisce una spiegazione più che chiara di questo termine troppo spesso pronunciato ma troppo poco compreso a fondo. Con questo termine “si indica una forma di comportamento sociale di tipo violento, prevaricatorio e intenzionale, tanto di natura fisica che psicologica, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone o gruppi di persone percepite come più deboli dal soggetto (singolo individuo o gruppo di individui) che perpetra uno o più atti in questione”. Ecco che spunta un assunto di base troppo spesso trascurato: le persone oppure i gruppi sono percepite come più deboli dal cosiddetto bullo. Parliamo di una mera percezione e non di uno status oppure di un dato di fatto e questo deve essere ben chiaro a tutti, non solo ai fini della comprensione dell’indagine di cui stiamo parlando.
Sempre Wikipedia continua poi parlando di “un comportamento caratterizzato da intenzionalità, sgradito dal destinatario, in grado di produrre danni psicofisici anche di grave entità”. Quindi sia chiaro anche questo: il bullismo è tale quando è intenzionale ed è atto a prevaricare e ridicolizzare la vittima in questione e questo accade “all’interno di una dinamica socio-relazionale che intende definire nel “gruppo” ruoli e status in funzione della rappresentazione della realtà (spesso distorta) da parte del bullo e dei suoi eventuali sodali a vario titolo collusi”.
Abbiamo quindi adesso tutti gli elementi per distinguere i veri bulli, che però nelle aziende potrebbero essere praticamente tutti. Stando sempre alla succitata indagine condotta dall’Aidp, il 43% degli intervistati ha parlato di fenomeni ricorrenti, quindi l’evento ripetuto nel corso del tempo di cui parlavamo prima c’è. Il 40% delle vittime sono donne, il 23% sono giovani, il 7,5% persone con anzianità elevata, il 7% sono costituiti da minoranze etniche, il 5% persone diversamente abili. Qual è il minimo comune denominatore? Tutti appartengono a gruppi ritenuti convenzionalmente più “fragili”, oppure comunque minoritari.
Inoltre nel 65% dei casi gli episodi di bullismo nelle aziende avvengono in presenza di altre persone. E qui quindi entriamo nella dinamica dell’intenzionalità di ridicolizzare pubblicamente la vittima.
Ma che genere di episodi si realizza nella aziende? Nel 53% dei casi parliamo di pettegolezzi, nel 34% di esclusione e boicottaggio intenzionale della persona coinvolta, nel 32% di svalutazione delle opinioni e critica continua, nel 31,5% di svalutazione del lavoro svolto verso il management, nel 23% di azioni aggressive, nel 12% di invasione della privacy. Appare chiaro, quindi, che spesso l’intento sia screditare l’altro per poterlo prevalicare sul lavoro e per poterlo quindi lasciare indietro in un certo senso.
Il dato però che accende una speranza è che il 55% degli intervistati tende a denunciare sua sponte questi episodi sia direttamente (parliamo del 40%), che tramite il whistleblowing – il sistema regolamentazione istituito con il chiaro scopo di favorire la segnalazione di illeciti da parte dei dipendenti – che rappresenta l’11%, che tramite i sindacati nel 9% dei casi.
Questo ha spinto il 60% delle azienda a predisporre strumenti di segnalazione anonima e di intervento, che possano quindi aiutare i vertici a gestire episodi di bullismo e mobbing orizzontale. Ma non solo, perché il 20% ha anche previsto programmi di prevenzione di questi fenomeni, attraverso le diffusione di un codice di comportamenti (questo riguarda l’80% dei casi), ma anche la formazione del personale sulle relazioni interpersonali mirate a prevenirli (nel 47% dei casi), oppure appunto l’istituzione del processo di whistleblowing (nel 42%).
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