Era il 3 maggio del 2021, quando Luana D’Orazio, 23 anni ancora da compiere – morì, stritolata da un orditoio al quale stava lavorando in un’azienda tessile di Prato.
La tragedia di Luana riaccese l’attenzione sulle cosiddette morti bianche, la strage continua delle morti sul lavoro. A distanza di due anni da quel terribile giorno, abbiamo intervistato il compagno di Luana D’Orazio – Alberto Orlandi – che da allora non ha mai smesso di lottare perché la tragica scomparsa della sua compagna non sia vana, ma diventi il monito affinché questa carneficina si fermi.
La mattina del 3 maggio 2021, Luana era uscita di casa presto per andare a lavoro. Come ci ha raccontato Alberto, intorno alle 5:30 lui e Luana si salutarono, per quella che sarebbe stata l’ultima volta. Alle 7, puntuale come sempre, sarebbe arrivato il messaggio di Luana, per dare un altro saluto ad Alberto, messaggio a cui lui rispose intorno alle 9.45. Poi, da lì in avanti, il silenzio, nessun’altra comunicazione da parte di Luana e quel presagio che qualcosa di terribile fosse capitato alla sua compagna. “Forse è impegnata, mi scriverà quando potrà” pensò Alberto, per scacciare quelle preoccupazioni che, col passare delle ore, si stavano facendo spazio nella sua mente.
Alle 13:45 di quello stesso giorno, la vita di Alberto cambia per sempre. È in quell’esatto istante che la mamma di Luana, Emma, gli invia un messaggio sul cellulare, dal testo poco chiaro ma premonitore di notizie nefaste. “Alberto, chiamami, ti devo…”. Le parole si interrompono e prima che il ragazzo abbia il tempo di pensare, la mamma di Luana lo chiama, le urla di Emma sono come un uragano, poi le parole di un carabiniere, che – senza troppi giri di parole – racconta ad Alberto che Luana è morta. Da lì in poi il buio.
Iniziano le indagini e nel mirino dell’inchiesta finiscono tre persone, la datrice di lavoro della giovane mamma, il marito della donna e il manutentore. I primi due hanno scelto il rito abbreviato. Due anni a lei un anno e 6 mesi a lui la sentenza di condanna con sospensione di giudizio. Una sentenza che ha lasciato l’amaro in bocca ad Alberto: “Quando è stata pronunciata la sentenza per la titolare e per il suo compagno, ero in macchina e, mentre tornavo a casa, piangevo, come se Luana fosse stata uccisa un’altra volta”.
Il processo resta aperto per il tecnico manutentore dell’orditoio. Il macchinario era in grado di funzionare anche a saracinesca sollevata, quindi anche in assenza della protezione posta tra l’operaio e l’orditoio stesso: un’anomalia rilevata immediatamente da chi intervenne per i primi rilievi dopo la morte di Luana e poi messa nero su bianco dalla perizia ordinata dalla procura.
Che mamma e che donna era Luana?
Luana era lo splendore in persona, era la felicità in persona. Le bastava pochissimo per essere felice. Era speciale, faceva di tutto per rendere felici le altre persone. Come mamma era veramente brava. Quando è stata strappata alla vita, era nel momento di massima felicità. Parlando di lei, mi viene in mente anche Giulia Tramontano, perché in lei ho rivisto Luana, nel modo in cui sono state strappate così violentemente alla vita in un momento che invece per loro era così speciale. La morte di Luana e quella di Giulia sono state uno spreco della natura.
Cosa sognava Luana?
Luana sarebbe stata super contenta se fosse riuscita a entrare nel mondo dello spettacolo, ma da quando aveva avuto il bambino, si era tirata su le maniche e aveva iniziato a lavorare, mettendo da parte quel sogno per crescere al meglio suo figlio. Aveva soltanto 22 anni, ma era già una donna, responsabile e con un grande senso del dovere. Se non fosse successo quello che è successo, io e lei saremmo andati presto a convivere, perché da entrambe le parti c’era la voglia di costruire qualcosa di importante.
Come sta il suo bambino?
Fortunatamente il piccolo sta bene, sta crescendo, circondato dall’amore della mia famiglia e della famiglia di Luana. È sereno, si sente amato e protetto. Noi cerchiamo di non fargli mancare nulla, anche se gli manca tutto. Della mamma parla soprattutto con nonna Emma. La verità gli è stata raccontata subito, nell’immediatezza dei fatti, anche su consiglio del pediatra, per dargli tempo e modo di elaborare il lutto di una perdita così importante.
Cosa pensi di quello che è successo a Luana?
Spererei in una giustizia che dia almeno un po’ di consolazione a me e a tutti noi che abbiamo perso Luana. Per ora questo non è successo. Nessuno ha avuto il coraggio di parlare. Ci hanno detto che la mia compagna era sola quando è accaduto l’incidente, ma chi mi dice che davvero fosse sola quella mattina. Quanto è successo a Luana poteva accadere a chiunque, perché la sicurezza dell’orditoio era stata messa in secondo piano. Luana ha perso la vita e nello stesso anno altre 1403 persone sono morte. Un’escalation assurda, in un Paese come il nostro che si basa sul lavoro e che invece non fa nulla per proteggere i lavoratori.
In tanti casi, come in quello di Luana, si può parlare di omicidio sul lavoro e non di incidente. Perché, si sa, un incidente può capitare, ma manomettere un macchinario per intascare qualche spicciolo in più è una strage annunciata, che prima o poi sarebbe accaduta, anche all’operaio più esperto. È inaccettabile che in Italia si muoia ancora sul lavoro, soprattutto è inaccettabile che questo capiti, non per un caso fortuito, ma per mano di qualcun altro. Il problema è il nostro sistema, che è totalmente marcio, perché permette che 2/3 persone al giorno continuino a morire mentre si guadagnano da vivere. La rabbia è tanta, il dispiacere ancora di più, ma la battaglia mia e delle nostre famiglie non si fermerà, finché la morte di Luana non diventi un monito affinché la sicurezza sul lavoro venga davvero considerata una priorità, e non l’ultimo tassello di un puzzle che si sgretola come sabbia in nome del dio denaro.