Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha chiesto – a mezzo lettera – al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, di rivedere il decreto legge sulle Ong. Non è l’unica ad avere avuto – e ad avere – dubbi in merito, anzi potremmo dire che si è semplicemente messa in coda a una fila lunghissima, quasi interminabile, di persone e associazioni che stanno smontando, pezzo per pezzo, il testo del dl. Nel frattempo è arrivata anche la risposta del governo italiano, che non è quella che ci saremmo aspettati.
Il decreto legge sulle Ong è stato oggetto di dibattito fin dal primissimo giorno in cui il suo testo è stato reso noto. In pratica ci troviamo di fronte al dl numero 1 del 2023, segno che per Giorgia Meloni probabilmente la questione dei migranti è prioritaria attualmente, più delle disuguaglianze, della crisi economica, del sistema sanitario nazionale a pezzi e così via. Del resto, la vita è fatta di scelta. E un’altra scelta – già contestata dopo pochissime ore – è stata rispondere alla richiesta di Strasburgo di ritirare oppure quantomeno modificare il testo del dl, dicendo semplicemente di no e adducendo motivazioni che continuano a fare, per molti, acqua da tutte le parti (esattamente come il contenuto del decreto).
Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha chiesto – a mezzo lettera – al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, di rivedere il decreto legge sulle Ong. In effetti, non è l’unica che crede che debba subire delle modifiche.
Sì, perché il Decreto Legge n° 1 del 2 gennaio 2023 – che, per inciso, ancora non ha completato il suo iter di conversione in legge – il primo, cioè dell’anno del Governo Meloni, è – non a caso – proprio incentrato sulle sanzioni all’immigrazione. Anzi, alle Ong che aiutano le imbarcazioni di “profughi” a sopravvivere, in quanto esseri umani esattamente quanto chi ha avuto la fortuna di nascere in un Paese civilizzato e industrializzato, perché de facto questo avviene puntualmente.
Come fa notare Oxfam – una confederazione di ONG dedicate alla lotta alla povertà in tutto il mondo – il primissimo dl dell’anno non è dedicato all’inclusione, alle disuguaglianze, al sistema sanitario pubblico che si sta ormai piano piano sgretolando ma tutti fanno finta di non vedere. No, è dedicato ai migranti. Gli stessi che arrivano qui in Italia per cercare un futuro, che qui riescono poi anche a volte a studiare, lavorare, realizzarsi (per chi avesse ancora dei dubbi al riguardo, ecco la storia di Omar Marong).
Detto ciò, non a caso, tra presunta illegalità, punti interrogativi, dubbi, il testo è diventato immediatamente oggetto di dibattito nelle Commissioni parlamentari riunite Affari Costituzionali e Trasporti. Ebbene, tutti loro hanno acceso una luce su un punto: alcuni emendamenti proposti dalla Lega sono inammissibili. Punto. Ma qui arriva il bello (anzi, il brutto): non solo il governo ha voluto – pardon, deciso – di ignorare completamente questa consapevolezza ma ha deciso anche di integrarlo, per renderlo ancora più “disumano” (parola usata dalla succitata Oxfam, sottolineiamolo).
Per rendere comprensibile a tutti ciò di cui stiamo parlando, però, proveremo a riassumere il più possibile il decreto e lo faremo prendendo in prestito (anche) alcune parole di Emergency, che ha tentato come poteva di smontare pezzo per pezzo un testo che promette di assicurare l’incolumità delle persone recuperate in mare e di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica, ma alla fine fa l’esatto opposto.
Alcune delle nuove regole prevedono questo: stop al trasbordo dei naufraghi e ai soccorsi multipli. Cioè, tradotto, una nave piccola non può soccorrere i migranti e poi trasferirli su una nave grande per ricominciare ad aiutare altri naufraghi e una stessa nave non può soccorrere più immigrati.
Altre prevedono che i migranti debbano chiedere asilo direttamente a bordo delle navi straniere e non nel Paese di primo approdo, che le Ong debbano richiedere “nell’immediatezza dell’evento l’assegnazione del porto di sbarco” che deve necessariamente essere “raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso”.
Cosa accade se però qualcuno viola queste regole? Incorre in sanzioni di natura amministrativa. Sono previste, cioè, delle multe che vanno da un minimo di 10mila a un massimo da 50mila euro e che dovranno pagare sia il comandante e che l’armatore, a cui si aggiunge la confisca della nave per due mesi e, in caso di reiterazione della condotta vietata, il sequestro cautelare della stessa e poi la confisca.
Queste nuove linee normative, però, fanno acqua da tutte le parti (per restare in tema nautico) e possiamo menzionare alcune delle dichiarazioni di Emergency per capire cosa non va esattamente: “I provvedimenti determineranno una potenziale violazione dell’obbligo di intervenire in caso di segnalazioni di altre imbarcazioni in pericolo in mare, prescritto dal diritto internazionale e tutte le navi, anche quelle umanitarie, sono tenute a rispettarlo”.
Insomma una legge nazionale dovrebbe ledere un diritto internazionale. E già questo la dice lunga. Ma non finisce qui perché, come fa notare sempre l’associazione umanitaria: “Lo staff della nave dovrebbe raccogliere l’eventuale interesse dei superstiti di chiedere asilo, affinché sia il Paese bandiera della nave a farsi carico delle richieste di protezione internazionale”. Per la Meloni, però, dovrebbe essere l’opposto. Peccato però che “le linee guida dell’Organizzazione Internazionale Marittima (IMO) sono chiare: qualsiasi attività al di fuori della ricerca e salvataggio deve essere gestita sulla terra ferma dalle autorità competenti e non dallo staff delle navi umanitarie. Ostacolare il lavoro umanitario, che ha come unico obiettivo la messa in salvo di persone, è inspiegabile se non in termini di consenso politico. Noi continueremo a salvare vite umane, nel rispetto del diritto internazionale e nazionale”.
Come sottolinea sempre Oxfam, i primi risultati (negativi) si sono già visti in queste ultime settimane: il fatto che i porti di sbarco assegnati seguendo queste nuove norme siano spesso lontani giorni di navigazione dal luogo di salvataggio, complica tutto, perché i costo per le Ong aumentano a dismisura e inoltre così facendo non vi sono testimoni dal Mediterraneo centrale che possano monitorare le azioni della Guardia Costiera libica.
Fermo restando che proprio oggi, 2 febbraio, è il sesto anniversario del Memorandum Italia-Libia promosso dal governo Renzi nel 2017, che tecnicamente dovrebbe prevedere che il governo italiano possa fornire aiuti economici e supporto tecnico alle autorità libiche così da “snellire” il traffico di imbarcazioni di profughi attraverso il Mar Mediterraneo e che la Libia, in cambio, migliori le condizioni dei propri centri di accoglienza.
Peccato, però, che anche quello in questi sei anni ha ricevuto non poche critiche: la Guardia Costiera libica, infatti, è formata da milizie locali che spesso non hanno alcun interesse a salvare i migranti, anzi. Tanto che a volte i loro centri di accoglienza sono stati paragonati addirittura ai lager. E con questo abbiamo detto tutto e il fatto che oggi le autorità possano agire incontrastate, grazie – anzi, per colpa – del decreto fa solo rabbia.
Ecco che quindi, nel mare magnum di critiche, emerge una richiesta, sana, decisa, ferma: quella di ritirare il dl, oppure modificarlo per renderlo “umano”. Arriva da Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ma pare che non sia stata accolta dal governo italiano.
“Il governo italiano deve considerare la possibilità di ritirare il decreto legge” sulle Ong, oppure modificarlo al punto da “assicurare che il testo sia pienamente conforme agli obblighi del Paese in materia di diritti umani e di diritto internazionale”: questa è la richiesta di Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, pervenuta a mezzo lettera al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi già il 26 gennaio scorso in realtà.
Una lettera questa intrisa di verità, di interrogativi, di timori, probabilmente – per non dire sicuramente – condivisi da innumerevoli persone, istituzioni, associazioni. Ma una richiesta è una richiesta, deve quindi essere accolta perché si trasformi in fatto e per esserlo deve aprire la strada a dei dubbi da parte di chi la riceve sul proprio operato. Cosa che però pare che non abbia minimamente riguardato la Meloni, che resta ferma, almeno per adesso, sulla sua posizione.
Oggi, infatti, è arrivata la lettera del governo a Strasburgo, in cui si legge chiaramente che “a differenza di quanto asserito le nuove disposizioni non impediscono alle ong di effettuare più interventi di salvataggio, nè le obbligano, men che meno, a ignorare eventuali richieste d’aiuto se hanno già preso a bordo altre persone”.
E ancora: “ciò che la nuova norma intende evitare è piuttosto la sistematica attività di recupero dei migranti nelle acque antistanti le coste libiche e tunisine al fine di condurli esclusivamente in Italia, senza alcuna forma di coordinamento”, anche perché, sempre secondo il governo italiano ovviamente “tale condotta, diffusa tra le ong, si pone al di fuori di quanto previsto dalle convenzioni internazionali sul soccorso in mare”.
Ma non finisce qui, perché nella lettera di risposta si legge chiaramente che il fine di assegnare porti sicuri nel Centro e nel Nord del Paese deriva semplicemente dalla volontà di redistribuire in tutto il Paese gli oneri conseguenti alla gestione degli sbarchi, che oggi gravano praticamente su Lampedusa, sulla Sicilia e sulla Calabria. A questo si aggiungerebbe che sono le navi più grandi a raggiungere i porti più lontani e quindi possono muoversi in sicurezza e che in ogni caso tutto ciò avviene previa verifica di eventuali situazioni di rischio per l’incolumità dei migranti.
Sempre come si legge sulla missiva inviata a Strasburgo, il fatto che le navi debbano essere “in possesso dei requisiti d’idoneità tecnico-nautica” non appesantisce il sistema perché non rende obbligatori controlli su controlli e, di conseguenza, non rende neanche loro impossibile svolgere le loro “attività di ricerca e soccorso” ripetutamente. Infine, pare che la questione dei rimpatri dall’Italia alla Grecia – una recente inchiesta realizzata da Lighthouse Reports ha mostrato che afghani, siriani e iracheni sarebbero stati respinti dalle autorità, e riportati indietro sia “destituita di fondamento”.
Insomma, a quanto pare il governo italiano non ha alcuna voglia di fare passi indietro. Cambierà idea un giorno? Chi lo sa.
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