È dovuto saltare per aria un tratto d’autostrada, uccidendo 5 persone, perché ci accorgessimo che in Italia esiste la mafia. E la mafia uccide. È dovuta crollare un’intera città, uccidendo 309 persone, per ricordarci che l’Italia è un paese dall’alto rischio sismico. E anche il terremoto uccide. Poi ce ne siamo dimenticati di nuovo, visto che nessuno ha fatto nulla per arginare questo problema e, anzi, si è continuato a costruire come se quel problema non esistesse, fino a quando – 7 anni dopo – un nuovo terremoto ha ucciso altre 296 persone. È questa l’Italia, dalla memoria corta, ma soprattutto che non si accorge di un problema fino a quando non succede una tragedia che, per un motivo o per un altro, scuota gli anni. Per qualche tempo, ovviamente…non di più!
In questi giorni, invece, a causa della morte di Tiziana Cantone e della violenza subita da una diciasettenne di Rimini, abbiamo scoperto che esiste, in Italia e in tutti i paesi informatizzati, il cyberbullismo. E anche il cyberbullismo uccide.
Sì, perché anche Tiziana – nonostante avesse 31 anni e nonostante fosse consenziente alla registrazione del video che la vedeva protagonista – è vittima del cyberbullismo, così come ci ha spiegato il professor Luca Bernardo, Primario della Casa pediatrica del Fatebenefratelli di Milano, dove ha anche aperto il primo centro per vittime di cyberbullismo.
Tiziana Cantone non è, infatti, stata uccisa dalla diffusione del video a cui pare che, in qualche modo, abbia lei stessa contribuito. È stata uccisa dai commenti che, prima sul web e poi nella vita reale l’hanno colpita, attaccata, demolita. Quei commenti che non ci sarebbero stati se fosse stata un uomo. Un uomo ha, infatti, la libertà di mandare ai propri amici, ed eventualmente anche diffondere sul web, un video che lo vede intento in pratiche sessuali senza per questo essere etichettato come un poco di buono. Se una donna, invece, fa lo stesso è una troia, a prescindere.
È in questo che Tiziana è una vittima e, prima di sputare sentenze sulla sua morale, ragioniamo sul fatto che, se una donna gira un video in cui pratica del sesso orale a un uomo e lo manda tramite Whatsapp anche a un gruppo di sole donne, qualcuna di queste è pronta a criticarla. Se un uomo facesse lo stesso, gli amici lo ammirerebbero. A meno che quel rapporto non fosse stato consumato nei confronti di un altro uomo. Ed è così che si registra, di fatto, una doppia morale, a seconda del sesso della persona e dei gusti sessuali della stessa.
Non a caso due episodi, seppur diversi fra di loro e diversi da questi, prima di quello di Tiziana Cantone e della minore di Rimini, ci avrebbero dovuto allarmare sul fenomeno del cyberbullismo: il suicidio di Carolina Picchio e dello studente di un liceo scientifico romano divenuto famoso come “il ragazzo con i jeans rosa”. Carolina si è, infatti, suicidata dopo che era stato diffuso il video di un abuso subito, l’altro perché era omosessuale e non lo nascondeva.
Dopo un’iniziale momento di shock davanti alla notizia di due adolescenti che si sono suicidati e qualche domanda sui rischi di un web non controllato, il cyberbullismo è stato tralasciato dalle pagine di quasi tutti i giornali, dimenticato dai lettori e ignorato dai cittadini.
Tanto che il papà di Carolina Picchio, Paolo, che da anni lotta per evitare che succeda ancora quello che è successo alla figlia (LEGGI QUI LA NOSTRA INTERVISTA), battendosi per la creazione del centro contro il cyberbullismo del Fatebenefratelli di Milano ancora oggi non sarebbe riuscito ad aprirlo, insieme al Prof Bernardo, se non in forma volontaria.
«Mi sono battuto – spiega Paolo Picchio – per la creazione, presso la Casa pediatrica del Fatebenefratelli di Milano, del primo centro italiano contro il cyberbullismo, a cui possano rivolgersi le famiglie delle vittime di cyberbullismo. Si tratta di un centro che intende operare su tutto il territorio nazionale, aprendo in tutte le principali città delle strutture locali presso i reparti pediatrici universitari».
«Il centro di Milano – prosegue – che per ora è partito in forma del tutto volontaria e senza fondi, nei primi sei mesi di attività ha ricevuto 700 richiesta d’aiuto e ha già inserito in percorsi di recupero oltre 100 ragazzi».
Ma poi aggiunge: «Benché il Ministero dell’Istruzione abbia già deliberato dallo scorso ottobre dei fondi, perché non ci si potrà sempre affidare al volontariato per reperire le strutture e per avvalersi della collaborazione di psicologi, psichiatri e altre figure professionali, non sono ancora pervenuti. E si tratta semplicemente di 200mila euro».
Ma il fenomeno del cyberbullismo è talmente ignorato, quando non c’è nessuna tragedia da prima pagine sui giornali, che la Senatrice Elena Ferrara, già insegnate di Carolina Picchio, non è ancora riuscita ad ottenere l’approvazione del suo disegno di legge sul cyberbullismo.
«Da un lato – chiarisce la Senatrice Ferrara – il fenomeno del cyberbullismo, lontano dalle tragedie che diventano cronaca, non è considerato un’emergenza, dall’altro alla Camera ci sono state anche opinioni diverse su come affrontare il problema e perfino nel definirlo. Non sono, quindi, stati 16 mesi inattivi, ma evidentemente si sono confrontati punti di vista differenti. Tuttavia, così, la legge non è stata approvato prima dell’inizio della scuole e, anche da insegnante, dico che perdere l’inizio della progettualità dell’anno scolastico che avviene nelle prime settimane di settembre voglia dire perdere una grande opportunità».
Qualcosa si è mosso, a livello regionale, in Lombardia, ma anche lì i tempi si sono incredibilmente dilatati e quello che si è fatto finora è merito soprattutto di volontari, come Andrea Donati coordinatore del tavolo tecnico volontario per la legge regionale sul cyberbullismo.
«Una prima bozza – spiega Donati – di proposta di legge regionale sulla prevenzione per cyberbullismo è stata presentata alla fine del 2015 e non solo non è ancora entrata in discussione, ma non è stata neanche messa all’Ordine del giorno del Consiglio regionale. Finora è stata soltanto messa in discussione nel calendario della Commissione Welfare per fine settembre 2016».
«A fronte di questo – conclude Donati – abbiamo deciso di sollecitare la discussione e, quindi, la futura approvazione della legge e di dare un supporto tecnico alla sua stesura. Così abbiamo raccolto diverse professionalità per costituire un tavolo tecnico per mettere a punto una legge regionale che si affianchi a quella nazionale: la prima si occuperebbe della prevenzione, la seconda si rivolge invece soprattutto ai ragazzi che si trovano in difficoltà e hanno bisogno di intervenire nei confronti dei social network per eliminare contenuti dannosi».
In sostanza, a parte la buona volontà di qualcuno, contro il cyberbullismo per ora è stato fatto molto poco sia sul piano della prevenzione, sia del contrasto, sia della cura. Speriamo che queste nuove tragedie servano a qualcosa di più concreto rispetto alle tante (e spesso inutili) chiacchiere fatte finora.
Una cosa è certa: noi di Nanopress.it, anche con il nostro magazine femminile Pourfemme.it, oltre a non trattare un certo tipo di presunte notizie, continueremo a occuparci di cyberbullismo e a seguire l’iter parlamentare della legge, a prescindere dalle mode giornalistiche, come abbiamo sempre fatto!
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