L’emozione tradita da Giorgia Meloni dopo le consultazioni, dopo aver ricevuto l’incarico di formare il governo dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, mentre leggeva i nomi dei ministri del suo esecutivo, al passaggio di consegne con Mario Draghi, oggi, nel suo intervento alla Camera è stata sostituita dalla versione della premier decisa come l’abbiamo conosciuta nei comizi elettorali e anche dai banchi dell’opposizione.
Non tanto nei toni, sicuramente più pacati rispetto ai tempi in cui urlava di essere Giorgia, una donna, una madre, una cristiana, neanche nei temi, sempre gli stessi, quanto più negli attacchi velati ma chiari verso chi prima era al governo e che invece ora si troverà a votare contro.
La nuova veste di Meloni, anche nel discorso alla Camera per la fiducia
I ringraziamenti doverosi prima, al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, agli alleati e al suo partito, anche a Mario Draghi, il suo predecessore che solo lei non ha appoggiato nella precedente esperienza di governo. Al popolo italiano che l’ha votata, ai vertici delle istituzioni europee, alle donne. A quelle che hanno combattuto e che hanno fatto in modo che lei arrivasse là, a essere la prima presidentessa del Consiglio.
Poi qualche bordata, alle opposizioni, come quando c’era lei a non supportare, meglio: non votare la fiducia ai vari esecutivi che nel corso del tempo si sono susseguiti alla guida dell’Italia. E forse sarà stata l’abitudine, ma comunque non era il momento di ricordare quanto successo nella gestione della pandemia, quello che si è fatto in Europa, bollare il reddito di cittadinanza come una sconfitta. Era il momento delle proposte – che in parte sono state fatte – perché è su quello che si deve votare la fiducia a un governo, a prescindere dal fatto che si sia appena insediato o meno.
Certo, i toni sono cambiati, dicevamo, sono diventati più morbidi, sicuramente istituzionali, ed è là che si vede di più la nuova veste di Meloni, una Meloni 2.0 che però aveva iniziato a studiare da premier già dai tempi della campagna elettorale, se non da prima.
In generale, comunque, è stata lei: lei che è partita dal basso, dalla militanza e dalle manifestazioni, ed è arrivata fino a diventare la prima donna a capo di un governo della Repubblica italiana. E nel secondo intervento riesce anche a rialzare i toni, poco, ma lo fa.
Le proposte di Meloni forse non bastano
Tornando alle proposte, però, avere le mani legate dalla crisi energetica, dalle sanzioni alla Russia e quindi dal rispetto del collocamento dell’Italia nel quadrante atlantista, non può non essere considerato, perché prima vengono i problemi da risolvere, quelli che mettono in ginocchio, come giustamente ha detto, le imprese e le famiglie, ma ecco: c’è anche altro.
Non solo il presidenzialismo, anzi il semipresidenzialismo alla francese, di cui ha parlato per la prima volta pubblicamente, non solo un nuovo patto fiscale che, in pratica, va contro quello che propone il suo alleato di governo Matteo Salvini. Non solo una lotta alle mafie e all’immigrazione che sembrano quasi retorica, e non per la convinzione con cui ne ha parlato, quanto perché nel concreto come verrà fatta battaglia non si sa.
Il lavoro sarà fondamentale, certo, così come la sanità, e troppo poco è stato detto anche in quel senso. Solo qualche spolverata di sana propaganda sull’immigrazione, appunto, sulla cannabis, sul Pnrr, sulla famiglia e sulla natalità. L’aborto, i diritti civili, poi, sono stati citati solo per dimostrare che non verrà cambiato nulla, ma forse i disegni di legge che sono stati proposti non vanno proprio nella direzione indicata, e forse qualche parola in più sarebbe servita.