Con la morte, tutt’altro che improvvisa, di Silvio Berlusconi, più di un problema appare all’orizzonte. Se dell’eredità imprenditoriale, economica se ne dovranno occupare i figli del Cavaliere, quella politica è un terreno più complesso, in cui molti vorrebbero mangiare. Se, da una parte, il nuovo leader naturale di Forza Italia dovrebbe essere Antonio Tajani, già coordinatore nazionale degli azzurri e ministro degli Esteri nel governo di Giorgia Meloni, insignita per altro della carica di presidente pro tempore da domani, dall’altra le correnti che si sentono (e non da ora) all’interno del partito potrebbero complicare non poco le cose, con Matteo Salvini ma anche Matteo Renzi pronti a raccogliere parte di quel seguito, e di quei parlamentari che per quasi trent’anni sono rimasti al seguito dell’ex presidente del Consiglio.
Se, per esempio, ad accogliere i deputati e i senatori forzisti fosse la compagine dell’attuale direttore editoriale del Riformista nonché presidente di Italia Viva, il cammino del governo della leader di Fratelli d’Italia potrebbe continuare in salita non avendo i numeri per ottenere la maggioranza né a Palazzo Madama, né a Montecitorio. Se, invece, dovessero andare a rimpolpare le fila della Lega, Meloni avrebbe comunque un problema, anche se interno allo stesso centrodestra.
L’uomo che ha segnato un’era, come è stato Silvio Berlusconi da presidente del Consiglio, ma anche da leader di un partito come Forza Italia, e persino da imprenditore prima (e durante), con la sua morte ha lasciato molti dubbi circa la sua eredità, specialmente quella politica. Se, infatti, una volta che muore un papa non è così difficile trovare un successore, non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda la leadership degli azzurri, sempre uniti sotto l’egida del fondatore, il cui ruolo di numero uno non è mai stato messo in discussione, neanche quando la condanna definitiva lo aveva tenuto fuori dal Parlamento per nove lunghissimi anni.
Ora, però, le cose sono leggermente diverse. Diverse, innanzitutto, perché lui non c’è più, diverse perché quell’unità sembra non esserci già da tempo, e quegli spifferi, all’interno del gruppo forzista, sono diventate delle vere e proprie correnti che potrebbero minare anche la stabilità dell’esecutivo di Giorgia Meloni. Non tutti, infatti, a partire dalla capogruppo al Senato, Licia Ronzulli (ma non solo lei), vedono di buon occhio che a prendere le redini dello schieramento sia l’attuale vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, già coordinatore nazionale di Forza Italia, ma da domani nel Consiglio Nazionale, come recita lo statuto, verrà insignito della carica di presidente pro tempore, in attesa che qualcosa cambi, in effetti.
Perché la battaglia all’interno del partito se le cose non dovessero sistemarsi potrebbe fare più vinti che vincitori, con nuovi attori pronti a banchettare sui resti di un schieramento che per quasi trent’anni ha segnato la cosa pubblica, e da cui dovrebbe essersi defilata la stessa presidentessa del Consiglio.
Nelle ultime ore, si sono, infatti, rincorse delle voci su un accordo firmato da Meloni, Tajani e Marina Berlusconi, la figlia del Cavaliere a cui pare spetti il compito di guidare la transizione almeno dal punto di vista politico, che prevede che Fratelli d’Italia non accolga esponenti che vorranno lasciare il partito. Lo stesso accordo, però, non è stato siglato con l’altro leader della maggioranza, quel Matteo Salvini che, invece, potrebbe puntare a diventare davvero l’erede dell’ex presidente del Consiglio scomparso lunedì e mettere in un angolo la premier. E nemmeno da Matteo Renzi, numero uno di Italia Viva e quindi tra i banchi delle opposizioni sia al Senato, sia alla Camera, che più o meno ha gli stessi obiettivi, ma che renderebbe più complicata l’azione del governo perché, come ha specificato anche uno dei suoi fedelissimi come Ettore Rosato, l’idea non è quella di entrare a far parte della maggioranza, ma di allargare il progetto terzopolista.
“A chi ci dà per morti ricordo che senza di noi né al Senato né alla Camera Meloni ha la maggioranza“, sono i ragionamenti che si fanno in casa azzurra, specificando anche che “se Giorgia Meloni non governa la transizione del mio partito al dopo Berlusconi, in Parlamento rischia di trovarsi il Vietnam: non solo in aula ma anche nelle commissioni“. A Montecitorio, il gruppo di Berlusconi conta 44 deputati, determinanti per superare quota 200 voti e avere la maggioranza. Per quanto riguarda Palazzo Madama, invece, i senatori sono 17, e anche qui sono fondamentali per avere i 103 voti che garantiscono il governo. E nelle commissioni, il rischio che si possano presentare emendamenti non concordati tra le fila del centrodestra potrebbe non essere così lontano.
Un erede di Berlusconi comunque dovrebbe essere trovato almeno per quanto riguarda il seggio rimasto vacante in Senato entro ottobre. La Giunta per le elezioni, infatti, oggi ha preso atto del fatto che con la morte del Cavaliere un posto a Palazzo Madama è rimasto scoperto, e ha passato la palla al Viminale che entro 90 giorni – ma saranno di più considerato che c’è l’estate di mezzo – dovranno essere organizzate delle elezioni suppletive per il collegio uninominale Lombardia 06, ovvero quello di Monza-Brianza.
Anche trovare un successore in questo senso potrebbe essere non facile, anche perché da Forza Italia, in tutt’altre faccende affaccendata dicevamo, non hanno ancora trovato un nome che possa sostituire l’ex presidente del Consiglio. Di tempo ce ne sarà, per questo, per il resto l’obiettivo è quello di arrivare quanto prima a una quadra che possa rasserenare gli animi di tutti, quelli del partito che non ha più un leader, e anche quelli di Meloni.
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