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Il futuro della tecnologia non è solo funzionale ma emozionale ed esperienziale

[didascalia fornitore=”foto”]via Pixabay[/didascalia]

Panasonic festeggia 100 anni di vita e punta al futuro mettendo al centro del suo interesse non più la sola tecnologia funzionale, ma l’emozione e l’esperienzialità. “Come team di creativi – spiega il designer Takeido Ikeda – stiamo guardando al passato per fare meglio in futuro. Di certo, possiamo dire che abbiamo migliorato la vita delle persone, ma per i prossimi 100 anni vogliamo andare oltre la produttività, la funzionalità e il lifestyle. Dobbiamo pensare a cosa può influenzare il comportamento e come il comportamento può influenzare la nostra vita”. Insomma, “vogliamo concentrarci sulla possibilità di fare esperienza per i prossimi 100 anni”.

Presente al fuorisalone di Milano nell’ambito di uno dei panel di ‘Transition in Conversation’, organizzato all’Accademia delle Belle Arti di Brera, l’azienda ha stupito i presenti con una installazione che sfrutta le tecnologie nel condizionamento dell’aria, nella elaborazione dell’immagine, del suono, della illuminazione e nella cura della persona. Perché se è vero che il futuro sta nella tecnologia, ogni prodotto deve essere uno strumento che possa facilitare la diffusione della cultura e aiutare a trasmettere emozioni. Questo è il nuovo target a cui punta l’azienda.

Anche il direttore della Pinacoteca di Brera, James Bradbourne è intervenuto nella discussione del rapporto tra tecnologia e cultura in un’ottica di trasformazione: “Stiamo vivendo un momento storico molto particolare e assistiamo a tante tipologie di minacce. Abbiamo lasciato il nostro potere decisionale alla tecnologia”, ma per fare in modo che il pensiero umano non sia sopraffatto “Dobbiamo condividere e provare emozioni”.

“In Pinacoteca è raccolta la creatività degli ultimi 500 anni ed è una risorsa condivisa. Qui si entra in un mondo e si può uscire diversi. Il museo deve creare quello speciale momento in cui, ad esempio, Caravaggio entra nel cuore delle persone”. Anche Ikeda e la designer Beatrix Ong Mbe, fanno poi presente che “bisogna ascoltare, bisogna capire che si sta parlando a qualcuno. Museo e design devono sempre pensare al pubblico”.

E come i capolavori dell’arte, anche il design può generare gli stessi effetti: “Il design è tattile. La forma dell’oggetto ci predispone in un certo modo” sottolinea Bradbourne che invita tutti a “tornare all’idea di cittadinanza, a come deve essere il mondo” per far si che sia sempre migliore di com’è. E prosegue “noi, come mondo museale, non stiamo facendo abbastanza. Per molti anni siamo stati autoreferenziali. I musei non sono abbastanza accoglienti nei confronti degli utenti. Potremo fare di più per creare valore. Siamo rimasti una realtà chiusa e forse anche molti designer sono nel loro enclave”.

La speranza sta dunque nel futuro e nelle nuove generazioni: “Sono ottimista” conclude Bradbourne: “I musei devono essere aperti alle famiglie. La loro esperienza, l’informazione si trasforma in conoscenza. Questo è il compito di un museo”.

In collaborazione con AdnKronos

Kati Irrente

Giornalista per vocazione, scrivo per il web dal 2008. Mi occupo di cronaca italiana ed estera, politica e costume. Naturopata appassionata del vivere green e della buona cucina, divido il tempo libero tra musica, cinema e fumetti d'autore.

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