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L’ottava tappa del Giro d’Italia 2014 si è corsa nel ricordo di Marco Pantani, anzi di più: se il Giro 2014 ripercorre alcune delle tappe che hanno fatto la storia ciclistica del Pirata, la frazione di ieri era come se fosse stata disegnata da lui stesso. Già, perché si arrivava sulle montagne che lo vedevano – sin da ragazzino – inoltrarsi verso l’interno, dal mare di Cesenatico, alla ricerca delle pendenze che tanto amava. Prendete ad esempio il Carpegna (la penultima erta): Marco lo conosceva a memoria, lo avrà scalato migliaia di volte sin da quando era giovanissimo, da solo o con i compagni di squadra. Partiva da casa senza orologio – guardava i campanili – e senza acqua – utilizzava le fontanelle – e poi magari una volta in cima ritornava giù per rifarla. Perché Marco Pantani era ed è così amato?
È quasi spaventoso quanto sia ancora nei cuori degli appassionati: ogni salita presenta striscioni o scritte sull’asfalto dedicate a Pantani, ci sono gigantografie, bandiere con il simbolo del Pirata, insomma è come se Marco non solo non si fosse mai ritirato, ma addirittura come se fosse ancora tra noi. E invece sono già passati dieci anni da quando fu ritrovato senza vita in uno squallido residence di Rimini (per altro oggi demolito), un sabato sera, la notte di San Valentino, da solo con le sue droghe e la sua infelicità. La sua vicenda è tragica, fa infuriare e lascia un senso di sconfitta perché assistere alla nascita (figurata) e alla morte (reale) di un idolo è qualcosa di davvero doloroso.
Tanta gente si è allontanata dal ciclismo dopo quello che è successo, ma molta di più si è avvicinata a questo mondo grazie a Pantani. Buona parte dei giovani corridori italiani che oggi vincono anche al Giro sono stati ispirati da Marco perché erano bambini o ragazzini quando trionfava sulle salite. È inutile ora continuare con la pratica del negazionismo perché i fatti parlano da soli, non si può continuare a considerarlo un innocente che è stato raggirato. Di sicuro, però, ha subito il successo e si è autodisintegrato per via di una fragilità e un’imperfezione intrinseca che è certo stata anche fondamentale per farlo diventare un eroe per tanti. Un eroe tragico, poi.
Ha avuto la sfortuna di trovarsi in un giro che di certo non l’ha aiutato e al resto ci ha pensato il carattere. Ma senza quel carattere non sarebbe diventato Pantani. I giornalisti che lo seguivano all’epoca raccontavano che li faceva davvero dannare perché era imprevedibile e perché ogni giorno sparava una boutade che poteva diventare il titolo principale del giornale del giorno dopo (sì, perché 15 anni fa il ciclismo poteva anche essere prima pagina). E così tutti i cronisti si accalcavano alla partenza e lo seguivano a pochi millimetri con le orecchie tese e il taccuino o il registratore pronto (no, non c’erano gli smartphone) per captare la frase vincente. E magari la diceva due secondi prima di partire per la tappa con il rischio che poi il giornalista coraggioso doveva attendere che il gruppo partisse e accordarsi con la propria auto, perdendosi la frazione.
Ecco, non si può spiegare lo charme e non si può spiegare perché una persona ha fascino e seduce. Non si può spiegare a parole perché è qualcosa che va al di là della ragione. È come analizzare il viso di un attore/attrice considerata bellissimo/a scoprendo che il naso non è un granché, gli occhi sono piuttosto normali, il mento è sporgente, la fronte è irregolare, ecc… Non si può spiegare perché Pantani è stato ed è ancora così amato, si può solo vivere quest’esperienza quasi magica, che qui al Giro trova la sua esplosione e che dimostra come questo “culto” si tramandi di generazione in generazione se è vero come è vero che si incontrano tantissimi bambini con la bandana o con la sua maglietta. È vero: non è un modello da seguire, è un esempio di come distruggere il proprio talento, di come scegliere anche ripetutamente le vie più sbagliate. È tutto vero, ma se il ciclismo ora è ancora vivo, soprattutto in Italia, è merito soprattutto suo. Con gli anni si tenderà a ricordare solo il bello, come spesso accade coi morti, tralasciando le ampie zone d’ombra, ma se continuerà a essere il propulsore della passione allora un male di certo non sarà. Se migliaia di persone sono al Giro è per merito suo, se decine di professionisti ora danno spettacolo è merito suo, se anche io ora sono qui al Giro e sono diventato giornalista sportivo è anche grazie a Marco Pantani.
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