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Dal livello del mare arrabbiato di Taranto, con le sue nuvole americane, ci siamo spostati verso l’interno e verso la Basilicata into the wild. Abbiamo attraversato scenari spettacolari con foreste rigogliose e km quadrati selvaggi per poi salire tutto di un fiato a Viggiano. Erano i primi 1000 m slm di questo Giro, spazzati da un venterrimo che quasi ha risucchiato la sala stampa sotto il tendone. Il vento, d’altra parte, non ci ha mai abbandonato lungo il percorso e poi ci ha accolti all’arrivo col suo profumo di campi e di primavera. Si sono viste le prime giacche a vento e i primi pile di questo Giro. Oltre 700 m sopra di noi c’é la vetta del sacro monte di Viggiano col Santuario della Madonna e poco più in là anche un impianto sciistico. Anche qui le nuvole vanno troppo veloci come questo giro che é già in fuga da cannibale.
Si considera spesso il Giro d’Italia come una sorta di riassunto ultraveloce della Penisola e in fondo é vero. In tre settimane si esplorano le regioni come turisti giapponesi impazziti. Tuttavia, grazie alla varietà di regioni e località toccate, di latitudini e altitudini, si vive anche un riassunto delle stagioni dell’anno. I corridori e noi tutti della truppa partiamo con abbigliamento pescato con attenzione sia per il gran caldo delle coste sia per gli zero gradi delle montagne. I ciclisti coprono pelle e ossa appuntite con manicotti e gambaletti, copricollo in lana e vengono avvolti tutti tremanti e tossenti in coperte da profughi oppure aprono la zip e si riversano borracce e borracce di acqua come sulle salite di metà percorso.
Noi gli si va dietro. Cosi si passa dal mare e dai primi bagnanti agli sciatori e alle nevi, estate e inverno sono separati da due giorni di cammino, meno di 400 km con uno scarto di due regioni. Viaggiamo nel tempo: i denti di leone in pianura sono già diventati soffioni e si sono sparsi nel vento. Sui prati alpini sono ancora macchie gialle che trasformano le montagne in una grande porzione di risotto allo zafferano. Entriamo e usciamo da questa primavera verticale gettandoci in discesa come Savoldelli dei tempi d’oro.
Dell’Autunno non possiamo certo apprezzare le foglie morte e cadute e giammai lo potremmo associare agli ultimi nostalgici giorni di corsa e di viaggio. Piuttosto, si manifesta frequentemente in quelle giornate un po’ così, con quella temperatura gradevole che però non sembra preludere alla bella stagione imminente (oh, siamo a maggio) quanto al rigido generale inverno che ci attende con il cappotto pronto da indossare. È una sensazione che aumenta in determinate città lombarde un po’ tristi già di loro oppure quando si dorme al mare ma l’aria é fredda e sulla passeggiata incontri solo turisti tedeschi in calze e ciabatte, nemmeno un po’ colorati di rossofucsia sulle spalle.
Però è solitamente estate quando arriva l’ultima tappa e i corridori tagliano il traguardo finale. Un distacco soft da un’esperienza totale e globale, per ritornare alle stagioni piuttosto tradizionali, alle fioriture secondo la regola, ai capi d’abbigliamento consoni al periodo dell’anno che si sta vivendo. Gli orologi, che scorrono a lancette indipendenti, e i termometri del Giro, il cui mercurio danza allegramente, ritorneranno nel cassetto, ibernati in attesa del prossimo maggio a quattro stagioni.