“Il presidente del Tribunale del Riesame di Trento, il dottor Carlo Ancona“, ha spiegato l’avvocato Stefano Giordano – figlio del Presidente del Maxiprocesso di Palermo Alfonso Giordano – che si dice “preoccupato per l’accaduto”, nel corso di una udienza processuale che si è celebrata ieri proprio a Trento ha pronunciato una frase ambigua, subito bollata come razzista. “Avvocato, lei taccia, perché qua siamo in un posto civile, non siamo a Palermo”, ha detto Carlo Ancona, che ha pure ammesso di aver pronunciato la frase, ma si è affrettato a chiarire che non voleva offendere i palermitani, quanto frenare l’avvocato. Questi i fatti.
“E’ un fatto gravissimo oltre che una frase razzista – dice Giordano, che prosegue nel racconto di quanto accaduto: “Ieri mi trovavo al Tribunale di Trento per una udienza di rinvio al Tribunale del Riesame, quando è avvenuto questo fatto increscioso. Nel condurre l’udienza con un indagato palermitano e con il sottoscritto come difensore, il Presidente del Tribunale del Riesame di Trento mi ha impedito di svolgere la mia arringa, profferendo la seguente frase: ‘Avvocato, lei taccia, perché qua siamo in un posto civile, non siamo a Palermo’. A questo punto, ho chiesto, e solo dopo numerosi sforzi, ho ottenuto la verbalizzazione di quanto accaduto”.
“Purtroppo – aggiunge Stefano Giordano – nonostante numerose richieste, non sono riuscito a ottenere dalla cancelleria del Tribunale del Riesame di Trento copia del suddetto verbale”. “Manifesto la mia preoccupazione per quanto accaduto, in quanto avvocato, in quanto cittadino italiano e, soprattutto, in quanto palermitano – dice ancora Stefano Giordano – Ho già concordato con il presidente dell’Ordine di Palermo, l’avvocato Francesco Greco, di redigere insieme un esposto che sarà prontamente comunicato al Csm e alle altre autorità istituzionali competenti”.
Dopo la diffusione di questa notizia il quotidiano IL Dolomiti ha interpellato il ‘protagonista’ della vicenda, il magistrato di Trento, Carlo Ancona, che in realtà è nato in Abruzzo nel 1948 ma si definisce Molisano (e amante della montagna). Il giudice non ha negato di avere pronunciato quella frase, ma ha cercato di spiegare che il suo scopo non era offendere la città di Palermo, o i suoi abitanti, quanto quello di fermare e zittire l’avvocato, che, in quel momento, secondo lui stava facendo ‘la voce grossa’.
“L’ho richiamato all’ordine. Diciamo che il comportamento scorretto dell’avvocato mi ha fatto uscire questa frase. Toni fuori dal contesto e una sobrietà non proprio asburgica, al quale noi siamo sicuramente più abituati, mi ha portato a zittire l’avvocato in questo modo”, e ancora “quel che mi preme sottolineare è che non volevo assolutamente offendere la città di Palermo. Quanto, piuttosto, interrompere il modo di fare dello stesso avvocato”, ha concluso Ancona, la cui vicenda potrebbe presto andare a finire, comunque, davanti al CSM.
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