Era argomento di discussione a novembre dello scorso anno, quando, dopo un mancato accordo iniziale, una maggioranza qualificata degli Stati Membri dell’Unione Europea aveva deciso per la proroga del glifosato sul territorio del vecchio continente. L’Italia aveva espresso, insieme, tra gli altri, a Francia, Belgio e Grecia, parere contrario. Da quel momento in poi, complice anche il clima da campagna elettorale del nostro Paese, la questione era finita nel dimenticatoio, fino alla scorsa settimana, quando l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha pubblicato il suo Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Quella che sembrava una contaminazione circoscritta a paesi lontani come l’Argentina, dove la pubblicazione delle immagini del reporter Pablo Ernesto Piovano sull’esposizione massiccia a pesticidi aveva sconvolto l’opinione pubblica, è diventata un problema che ci riguarda da vicino? Nello studio pubblicato si legge: “Nelle acque superficiali il glifosate, con il suo metabolita AMPA, è l’erbicida con il maggior numero di superamenti. Entrambe le sostanze risultano superiori agli standard di qualità ambientale per le acque previsti dalla norma”.
Il glifosato non è ovviamente l’unica sostanza che viene analizzata nelle acque superficiali italiane. È stata evidenziata anche una percentuale di neonicotinoidi, ovvero la classe di insetticidi più utilizzata a livello mondiale e impiegata anche in Italia. In uno studio del 2015, condotto a livello mondiale, venivano additati come i principali responsabili della perdita di biodiversità e, in seguito alla moria di api avvenuta negli scorsi anni, tre di questi insetticidi (clothianidin, thiamethoxam e imidacloprid) sono stati vietati nella concia delle sementi e nel trattamento delle coltivazioni attrattive nei confronti delle api. La ricerca Ispra precisa anche che, dopo oltre 10 anni di diminuzione, crescono nuovamente le vendite di prodotti fitosanitari (ovvero quelli che servono per conservare e proteggere i prodotti vegetali, ndr), anche se si registra un significativo calo delle vendite di prodotti tossici e molto tossici che nel periodo di riferimento (2015-2016) segnano -36,7% rispetto al massimo di oltre 5.000 tonn. raggiunto in passato.
La maggior presenza di pesticidi si riscontra nella pianura padano-veneta, dove le indagini sono generalmente più approfondite. Nelle regioni del nord si concentrano infatti più del 50% dei punti di monitoraggio della rete nazionale. Nel resto del paese invece la situazione rimane ancora disomogenea. In totale, su 1.554 punti di monitoraggio delle acque superficiali, 371 (23,9%) hanno livelli di concentrazione superiore agli standard. Il primato per livelli più elevati di non conformità, rispetto ai rilevamenti, spetta alla Lombardia, con il 49,4% dei punti che superano gli SQA (Standard di Qualità Ambientale, ndr). Tra le sostanze che determinano il maggior numero di superamenti dei limiti troviamo proprio il glifosate e il metabolita AMPA, cercato in modo capillare nella Regione. Si legge nel rapporto: “La contaminazione è più diffusa nella pianura padano-veneta. Questo dipende largamente dal fatto che lì le indagini sono generalmente più rappresentative. Nelle cinque regioni dell’area, infatti, si concentra più del 50% dei punti di monitoraggio dell’intera rete nazionale. La percentuale dei punti con livelli di contaminazione superiori ai limiti è elevata in Veneto (36,7%), Provincia Autonoma di Bolzano (29,4%), Toscana (29,3%) e Piemonte (23,9%). […] Nelle acque superficiali, il valore del superamento degli SQA ha un aumento pressoché regolare, raggiungendo il valore massimo nel 2016 (23,9%). Anche qui, le sostanze che hanno maggiormente contribuito a determinare i superamenti sono il glifosate e il suo metabolita AMPA”.
[didascalia fornitore=”Rapporto Ispra”]Dati del Rapporto nazionale sui pesticidi nelle acque [/didascalia]
Sono proprio gli autori dello studio a ribadire che: “Per alcune sostanze la frequenza di ritrovamento, la diffusione e il superamento dei limiti, pongono un problema, in alcuni casi di dimensione nazionale. Tali evidenze indicano anche la necessità di un’analisi critica delle attuali procedure di autorizzazione delle sostanze, che dovrebbe tenere conto, con valutazioni retrospettive, dei dati di monitoraggio ambientale”.
Ma cos’è il Glifosate (o glifosato)? È l’erbicida più utilizzato nel mondo, anche in Italia. È stato introdotto sul mercato dall’azienda Monsanto negli anni ’70, e il suo RondUp è uno dei più commercializzati. Sempre il Rapporto Ispra sottolinea come sia uno dei contaminanti principali delle acque. : “Nel 2016 è presente nel 47,4% dei 458 punti di campionamento delle acque superficiali (39% del 2014), con un superamento degli SQA nel 24,5% dei casi. Il metabolita AMPA è presente nel 68,6% dei punti monitorati nelle acque superficiali (385), si registra un superamento degli SQA nel 47,8% dei siti”. La degradazione microbica produce il suo principale metabolita AMPA (acido aminometilfosfonico). L’AMPA è altamente solubile in acqua e comporta quindi un maggior rischio di trasferimento all’interno della falda. L’AMPA è il metabolita anche di altri fosfonati della detergenza industriale e domestica.
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Il parlamento europeo, il 24 ottobre 2017, aveva votato una risoluzione per chiedere alla Commissione europea di vietarne l’uso in maniera definitiva dal 2022. Ma circa un mese dopo, i voti favorevoli alla proroga di cinque anni dell’utilizzo del glifosato su territorio europeo hanno visto i pareri favorevoli di diversi Paesi, che ne sono poi usciti vincitori. Tra questi, anche la Germania, che a breve potrebbe diventare tra le prime produttrici dell’erbicida, dopo che la Bayer, colosso farmaceutico tedesco, ha acquisito Monsanto, con una fusione da 66 miliardi di dollari, che sembra diventare effettiva nel secondo trimestre del 2018.
A nulla sono valsi gli appelli dell’ente valutativo Iarc (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro), organo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che in uno studio del 2015 aveva inserito il glifosato nella lista delle sostanze probabilmente cancerogene (categoria 2A), stessa categoria del DDT o degli steroidi anabolizzanti. Queste sostanze sono presenti dentro ognuno di noi e a dimostrarlo, solo due anni prima, nel 2013, ci aveva pensato uno studio intitolato “Determination of Glyphosate residues in human urine samples from 18 European countries”, dei ricercatori del laboratorio medico di Brema, con a capo tra gli altri Wolfgang Hoppe, che ha dimostrato come tra il 36 e il 44% dei campioni di urina prelevati da 180 persone in 18 paesi europei contenga glifosato.
I pesticidi possono essere banditi non solo se considerati cancerogeni, ma anche se definiti interferenti endocrini, anche se danno accumulo, con effetti avversi diversi dal cancro. I bambini oggi nascono malati, la fertilità degli uomini è calata del 50% negli ultimi 50 anni e le donne hanno problemi di salute legati anche ai fattori d’inquinamento ambientale, che vanno dall’endometriosi all’ovaio policistico. Tutto questo in età giovanile. Sono queste le considerazioni da cui è partita la direttrice dell’Istituto di Ricerca Ramazzini, Fiorella Belpoggio, ospite della trasmissione Aria Pulita, che il 16 maggio presenterà al Parlamento Europeo i risultati di uno studio pilota sugli effetti avversi del glifosato sulla salute, condotto dall’Università di Bologna, dall’Università di Washington, l’Istituto Tumori di Genova e dall’Istituto Superiore di Sanità: “Ci siamo concentrati su quello che altri studi definiscono “dosi sicure”, ovvero quelle a cui gli uomini possono essere esposti durante tutto l’arco della loro vita senza avere effetti avversi. Siamo andati a controllare i livelli sicuri consentiti negli Stati Uniti, ovvero 1,75 mg per chilo di peso, e invece abbiamo evidenziato la presenza di effetti avversi”.
Ci sono anche studi che riportano la sostanziale non presenza di effetti collaterali per la salute dell’uomo, e che arrivano a conclusioni diametralmente opposte. Tra queste il rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che ha valutato i rischi dell’uso del glifosato, e che aveva fatto scalpore in seguito a diverse pubblicazioni che ne sostenevano il copia/incolla, in alcune parti, dalla richiesta di rinnovo dell’autorizzazione di Monsanto. A questi articoli l’Efsa ha risposto con diverse dichiarazioni, che ribadivano la loro attenzione verso i diversi studi presi in considerazione. Questi studi sono citati dalla stessa Belpoggio, che conclude: “Il sistema non funziona: non possiamo trovarci davanti a due agenzie mondiali che devono dare un verdetto su una sostanza e avere due risultati opposti”. Esistono inoltre studi che hanno messo in discussione i diversi parametri che hanno portato a differenti conclusioni, sostenendo che l’Iarc si sia basata solo su studi pubblici e non su altri studi approfonditi ma non pubblicati. Mentre la querelle scientifica continua, forse si potrebbero prendere in considerazione ulteriori indagini, viste le continue richieste di chiarezza, anche da parte dei cittadini europei, su una sostanza usata massicciamente in tutto il mondo e con cui conviviamo da più di quarant’anni.
Foto di Leonid Eremeychuk/Shutterstock.com
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