Il governo Meloni ha il record (negativo) di decreti legge varati nei primi tre mesi di legislatura

Con i tre decreti legge sfornati dal Consiglio dei ministri il 10 gennaio, uno in realtà ancora non ufficiale, il governo di Giorgia Meloni si laurea come l’esecutivo che, a meno di tre mesi dal suo insediamento, è quello che è ricorso di più all’atto avente forza di legge per introdurre modifiche nell’ordinamento statale.

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Giorgia Meloni – Nanopress.it

Il fatto che il governo della leader di Fratelli d’Italia detenga il record non significa che, negli ultimi tempi, approvare decreti legge, in luogo di leggi vere e proprie, sia una prassi nuova, anzi. Il punto è che la stessa Meloni, quando sedeva tra i banchi dell’opposizione, ha più volte criticato i suoi predecessori che, come lei ora, si avvalevano dello strumento per legiferare. Le critiche muovevano dal presupposto che si svuotasse la funzione del Parlamento, l’aggravante, qua, è che sono state chieste anche delle questioni di fiducia, che riducono ancora di più la possibilità di deputati e senatori di cambiare le carte in tavola, e svolgere il loro compito.

Il governo Meloni detiene il record di decreti legge approvati in 83 giorni. Ed è stata anche posta la questione di fiducia cinque volte

Chi può dire se esiste una Giorgia Meloni presidentessa del Consiglio e un’altra, completamente diversa, leader di un partito d’opposizione? Probabilmente solo chi la conosce bene, e lei stessa possono effettivamente ammettere che da quando è arrivata a Palazzo Chigi la numero uno di Fratelli d’Italia è cambiata oppure no, se lo ha fatto un po’ o se è diventata un’altra. Sicuramente, il nuovo ruolo che deve ricoprire impone degli obblighi differenti rispetto al passato che, per forza di cose, si traducono in una diversa percezione della sua figura agli occhi degli altri, e quindi anche i nostri.

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Giorgia Meloni durante il suo discorso per chiedere la fiducia alla Camera – Nanopress.it

Ci sono, però, dei dati, che sono alla mercé di tutti, che parlano chiaro sul fatto che, oltre a una moderazione nell’atteggiamento (in molte occasioni), la premier ha cambiato idea su determinati argomenti. Per esempio, quelli che riguardano i decreti legge che, come recita l’articolo 77 della Costituzione, devono essere adottati solo “in casi straordinari di necessità e di urgenza“.

Dal 22 ottobre, giorno dell’insediamento di Meloni e del suo esecutivo, fino al 10 gennaio, giorno dell’ultimo Consiglio dei ministri, e quindi in 83 giorni, ne sono stati licenziati 15, ha notato Pagella politica. Tre di più rispetto allo stesso periodo del governo di Mario Draghi e addirittura nove in più degli esecutivi di Giuseppe Conte, sia quello con la Lega, sia quello con il Partito democratico.

Nel mezzo, gli atti aventi forza di legge, che devono essere riconvertiti da entrambi i rami del Parlamento entro 60 giorni affinché non perdano i loro effetti, sono stati utilizzati per legiferare dieci volte dal governo di Matteo Renzi, nove dal quarto esecutivo di Silvio Berlusconi – di cui, per giunta, faceva parte anche la leader di FdI in veste di ministra per la Gioventù -, otto da quello di Paolo Gentiloni e sette da quelli di Mario Monti ed Enrico Letta.

Se non bastasse, per la legge di conversione, il governo di Meloni ha anche posto la questione di fiducia in tre diversi casi: quando il Senato doveva dire la sua sul decreto Aiuti quater, quando la Camera doveva approvare il tanto discusso decreto rave, e sempre nell’aula di Montecitorio, proprio mercoledì, sempre per il decreto sui nuovi aiuti.

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L’aula della Camera dei deputati – Nanopress.it

Per evitare che gli effetti decadessero, come è stato fatto per l’approvazione della legge di bilancio entro il 31 dicembre – in cui si è chiesta sempre la fiducia -, l’obiettivo era quello di snellire i tempi della discussione in aula, accelerando il processo perché, di fatto, vengono soppressi tutti gli emendamenti che tanto la maggioranza, quanto l’opposizione possono presentare.

Le parole della premier quando era all’opposizione e i rischi per la democrazia

Chiedersi se Meloni ha un senso perché, dicevamo, dai banchi dell’opposizione, attaccava i suoi “avversari” nonché suoi predecessori proprio perché utilizzavano i decreti legge e la questione di fiducia per depauperare il Parlamento. Lo ha fatto contro il leader di Italia Viva, e senatore del terzo polo, e lo ha fatto anche contro il presidente del MoVimento 5 stelle.

Cosa c’è di così urgente da scavalcare il Parlamento nel bonus monopattini, nella lievitazione delle poltrone delle società pubbliche e nella sanatoria dei clandestini? Abbiamo ancora una Costituzione in Italia?“, aveva chiesto a Conte, non molto diverso da quello che aveva detto a Renzi quando lo attaccò per aver messo mano alla Rai proprio con un dl.

Al di là, però, del cambiamento di Meloni, quello in atto, e da tempo, in Italia, ha qualche rischio in più. Svuotare della funzione legislativa Camera e Senato, infatti, con l’approvazione di decreti legge in luogo di leggi vere e proprie è una prassi che va avanti da molto prima che sulla poltrona più importante di Palazzo Chigi sedesse per la prima volta una donna – ed è ovvio che sia così, considerati i dati.

Innanzitutto perché va a far cadere la tripartizione del potere, così come teorizzata da Montesquieu, con il Consiglio dei ministri che assumerebbe anche quello del Parlamento, ma anche perché si potrebbe ingolfare il lavoro stesso delle due aule, impegnate a convertire in legge gli atti del governo giorno dopo giorno.

Non solo, perché la questione di fiducia aggrava la situazione. In primis, come già detto, perché non dà modo a chi non fa parte delle forze e quindi della coalizione della maggioranza di dire la propria e proporre miglioramenti, e poi perché mette in mostra il fenomeno del monocameralismo alternato, ovvero una prassi per cui, a causa della compressione dei tempi parlamentari, una Camera è costretta ad approvare lo stesso testo approvato dall’altra senza la possibilità di modificarlo, che di fatto è il contrario di quello che volevo i padri costituenti, 70 anni fa, quando diedero la luce alla nostra Carta costituzionale.

Probabilmente è solo una questione di priorità, e le cose per Meloni e per il suo governo cambieranno non appena le acque si calmeranno, certo è che dopo aver spiegato, in lungo e in largo, le sue ragioni per la retromarcia sul taglio delle accise rispetto al 2019, sarebbe un peccato se per la premier sconfessasse sé stessa su una cosa così importante per la democrazia.

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