Come annunciato ieri da Matteo Salvini, nel Consiglio dei ministri appena concluso il governo ha fatto la sua mossa per il caro carburanti. In un decreto ad hoc, infatti, si obbligheranno i gestori delle pompe di benzina a esporre il prezzo medio nazionale accanto a quello di vendita. Il Cdm ha approvato, inoltre, un decreto che rinnova per il primo trimestre del 2023 buoni benzina per un valore massimo di 200 euro per lavoratore dipendente.
Per loro, infatti, più che lo sconto sulle accise, l’aumento dei costi è dovuto alla speculazione, così come tra l’altro ha detto lo stesso ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin in un’intervista a Porta a porta da Bruno Vespa, che andrà in onda stasera. La mossa dell’esecutivo di Giorgia Meloni, però, potrebbe creare del malcontento, soprattutto tra i gestori, che hanno detto di essere parte lesa.
La mossa del governo per il caro carburanti
Nessun passo indietro da parte del governo di Giorgia Meloni. La decisione, presa a fine anno, di non rinnovare lo sconto sulle accise sui carburanti, che era stato introdotto dall’esecutivo di Mario Draghi a marzo del 2022, è stata confermata anche nel Consiglio dei ministri di oggi.
Per fare fronte al caro di benzina e diesel, denunciati dalla Codacons, e per cui oggi la premier, assieme al ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, ha incontrato il Comandante Generale della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana, si è infatti deciso di approvare un decreto ad hoc che invita i gestori delle pompe di benzina alla trasparenza a vantaggio dei consumatori.
Da quando entrerà in vigore il dl “sulla trasparenza dei prezzi dei carburanti e sul rafforzamento dei poteri sanzionatori del Garante dei prezzi“, così come è stato chiamato, i distributori di carburanti dovranno esporre sia il prezzo medio nazionale oltre a quello di vendita. Chi non lo farà, andrà incontro a un impianto sanzionatorio, così come è stato messo in piedi nella riunione odierna, in cui si potrebbe arrivare anche alla sospensione dell’attività dei furbetti da sette fino a 90 giorni.
Il prezzo verrà calcolato giornalmente dal ministero dell’Ambiente e comunicato sul sito del dicastero. Ma non solo, perché i prezzi di vendita non potranno essere più alti di una certa percentuale rispetto a quella della media nazionale. Verrà, inoltre irrobustita la collaborazione con la Guardia di Finanza sulle condotte speculative.
La scelta, che era stata anticipata dalle parole del ministro per l’Ambiente e per la Sicurezza energetica, Alberto Pichetto Fratin, a Porta a porta, che aveva parlato di “una stabilizzazione dei prezzi“, è dovuta al fatto che, per il centrodestra, il problema non è mai stato il taglio dello sconto, ma piuttosto la speculazione.
Dall’andamento dei costi, così come monitorati dal Mase, tra il primo e l’8 gennaio la benzina in modalità self è salita da 1,644 euro a 1,812 euro al litro con un aumento di 16,8 centesimi. Il gasolio è passato da 1,708 a 1,868 euro al litro, con un rialzo dei 16 centesimi, poco meno, quindi, dei 18 centesimi non più previsti dalla decisione del governo.
Su richiesta del vicesegretario della Lega, poi, il Cdm ha anche approvato un decreto che rinnova per il primo trimestre del 2023 dei buoni benzina per un valore massimo di 200 euro per lavoratore dipendente. E verrano dati più poteri a Mister Prezzi. Il garante per la sorveglianza delle tariffe vedrà rafforzato il suo raggio di azione con l’istituzione, tra le altre cose, di una commissione al suo interno di allerta rapida della dinamica dei prezzi.
Il malcontento dei gestori delle pompe di benzina
Il decreto licenziato dal governo potrebbe creare del malcontento, soprattutto sui gestori delle pompe di benzina, che già oggi avevano rispedito al mittente le accuse di speculazioni ritenendole senza fondamento.
“Tra l’ultima settimana di dicembre e i primi giorni di gennaio il prezzo industriale dei carburanti, stante la sostanziale stabilità dei mercati internazionali, non è variato e la differenza che vediamo oggi è dovuta al solo aumento delle accise“, ha detto in un’intervista alla Stampa Claudio Spinaci, il presidente dell’Unem, l’unione energie per la mobilità. “Al momento – ha spiegato ancora il capo dei petrolieri italiani – siamo a circa 18-19 centesimi in più rispetto a quelli di fine anno. Non vedo dove sarebbe la speculazione se la differenza è pari all’aumento delle accise Iva compresa. Siamo in pratica tornati ai prezzi del 23 marzo dopo il taglio delle accise, ma senza il taglio. Il benchmark per i carburanti non sono le quotazioni del greggio ma le quotazioni internazionali dei prodotti raffinati“.
Il problema dei rialzi dei prezzi, che in alcune zone autostradali sono arrivati anche a 2,5 euro al litro per il diesel, nasce dall’elevata tassazione. In Germania, ha precisato ancora, “il gasolio alla produzione costa oltre 15 centesimi in più, ma al consumo ne costa 3 in meno. È un diritto-dovere del governo esercitare gli opportuni controlli, ma i numeri non mentono” anche se “qualcuno oltre la media o che fa il furbo ci sarà anche. Quanto all’accusa di ‘cartello’, appare anacronistica visto il numero di operatori che è cresciuto a dismisura“.
Un passo indietro, quindi un ritorno alla misura introdotta da Draghi, anche per Spinaci era apparso improbabile, oltre che insostenibile, considerato che “è costato circa un miliardo al mese ed è il motivo per cui è stato eliminato“. Per il numero uno dell’Unem, piuttosto, una soluzione potrebbe essere quella di intervenire strutturalmente nel sistema fiscale in modo che le aliquote delle accise siano più vicini a quelle europee.