La Lazio di Maurizio Sarri vola in classifica dopo una vittoria da grande squadra contro la Fiorentina e in un campo difficile come quello della Viola. Il terzo posto è meritato per il gioco espresso, una fase difensiva molto più solida degli scorsi anni e delle trame offensive che non si basano più sui soli Ciro Immobile e Sergej Milinkovic-Savic, ma su un team capace di fare male in diversi modi. Tutto costituisce l’ennesimo rimpianto per una Juventus che intanto continua ad arrancare.
I biancocelesti si godono la sbornia di risultati positivi in Serie A, ma guai ad abbassare la soglia d’attenzione che i conti sono ancora da sistemare in Europa League. E poi c’è la Vecchia Signora che, invece, continua a deludere, sotto il profilo del gioco, della mentalità e quindi dei risultati. Il Milan ha rimesso in luce tutte le crepe di una squadra che non riesce ad amalgamarsi e il cui distacco con i tifosi è sempre più accentuato. Le due storie sono intrecciate, dato che Sarri era l’uomo scelto da Andrea Agnelli per avviare il nuovo ciclo, ma ha fatto dietrofront dopo solo un anno.
L’amore da favola tra Sarri e la Lazio ha delle motivazioni ben precise
Di matrimoni che funzionano davvero, tra urla, litigi, abbracci e passione, non ce ne sono più così tanti. Così come la purezza delle parole, quelle che ti escono di getto, un po’ da ragazzino immaturo, un po’ da sognatore non spezzato dalle delusioni, e che molti chiamano amore, fino a quando possono. Le dichiarazioni nel post partita di Fiorentina-Lazio ci hanno fatto capire come l’unione tra Maurizio Sarri e il club romano sia praticamente perfetta, ma sono solo la punta dell’iceberg di un’alchimia totale.
Il tecnico toscano è uno che è cresciuto a pane, schemi e tattica e che la gavetta se l’è fatta tutta. Ha iniziato a Figline e non era neanche il suo lavoro principale, quello della vita. Poi club come Stia, Faellese, Cavriglia, solo per citarne alcuni. Il classe 1959 poi di strada ne ha fatta e l’ha percorsa sempre a modo suo. Con un carattere dalla corazza arcigna e scorbutica, che non regala parole dolci e sorrisi a nessuno, che se fai bene sta lì a pungolarti, se non è momento, lo capisce ed è comunque lì per te. Un po’ come un padre o un fratello maggiore.
In Italia, poi, ha portato uno stile tutto suo e che molti hanno imparato ad apprezzare. Le sue sigarette, le tute, gli eccessi da strada che tutti vivono e si obbligano a limare di fronte a cameramen e occhi indiscreti del mondo pallonaro. Lui no, perché è la sua identità e alla fine possiamo dire che funziona, praticamente su tutti i palcoscenici.
Ma tornando a ieri sera, le dichiarazioni dopo la gara di Firenze, ai microfoni di DAZN hanno mostrato il Sarri più autentico, quello che ci piace. L’allenatore ha provato dapprima a smorzare l’entusiasmo dopo una vittoria pesante per i suoi, su un campo storicamente ostico: “Ci è andata pure bene, perché abbiamo concesso alla Fiorentina diversi palloni per pareggiare o riaprire la partita“. Poi ha parlato di maratona ancora agli inizi, ha gettato acqua sul fuoco e ha già dato la nuova direzione verso l’Europa League, che la gioia per la vittoria “deve durare al massimo un’ora“.
Alla fine, però, si è lanciato anche in una dichiarazione d’amore rara e meravigliosa nel mondo del calcio. Non per le parole al miele pronunciate, ma per la spontaneità, la purezza appunto, l’amore ormonale e duraturo che tutti desidererebbero: “Alla Lazio sto bene. Mi piace il nostro pubblico, sto bene con la gente che lavora a Formello, con la mia squadra. È un ambiente speciale, il pubblico ti entra nella pelle, è straordinario. E spesso su di loro vengono dette cose ingiuste. Grazie a quest’ambiente ho ritrovato la voglia di allenare: sono io che devo ringraziare i tifosi, non loro che devono ringraziare me“. Parole in barba a chi solo poche settimane fa parlava di dimissioni, di un Sarri insoddisfatto e svuotato. Finito. E, invece, questo è un nuovo inizio, un Maurizio 2.0 che sa anche puntare dritto alla vittoria e travestendo tatticamente una Lazio sempre più letale.
Il 4-3-3 c’è sempre ed è una garanzia, sia chiaro, a livello italiano e internazionale. Poi, però, c’è anche la maturità, l’umiltà di adattarsi all’avversario, l’istinto di chi sa qual è la strategia giusta per far male. E la Lazio l’ha dimostrato ieri sera, abbassando il baricentro della squadra di venti metri per non lasciare spazio alla Fiorentina e creandosi gli spazi per ripartire in contropiede. Semplicemente una partita preparata bene, ben lontana dal difensivismo. E poi le tracce di gioco del tecnico toscano rendono i biancocelesti imprevedibili e letali: c’è la palla alta su Matias Vecino e Sergej Milinkovic-Savic, la costruzione a centrocampo che libera Mattia Zaccagni e Felipe Anderson all’uno contro uno, gli inserimenti da dietro delle mezzali e i tagli di Ciro Immobile, enfatizzati da una squadra che alza la testa e trova il capitano come finalizzatore e certezza d’area di rigore.
Ci sono anche i calci piazzati e la fase difensiva, aspetti che nel secondo anno di Sarri sono migliorati drasticamente. E poi c’è uno spogliatoio che si dimostra sempre più unito e coeso, in un’unica direzione, sia nei trionfi sia nelle giornate più storte. Una squadra vera, insomma, di cui il calcio italiano e Roma avevano maledettamente bisogno.
La Juventus in terapia di copp(i)a e angosciata dai rimpianti
Se a Roma coccole e sorrisi fanno dormire sonni tranquilli per il presente e per il futuro, un po’ più su, in una Torino d’autunno vestita, il gelo fa rumore. Ed è quello dei tifosi, sempre più in disaccordo con la linea seguita dalla dirigenza bianconera, con le scelte tecniche e tattiche di Massimiliano Allegri, con la sostanza e il contorno.
Basta guardare alle immagini di un Allianz Stadium raramente pieno e raramente in festa nelle prime settimane della nuova stagione. Soprattutto, basta analizzare il sentiment dei social con i supporters che, tra insulti al tecnico livornese e alla società, la loro scelta l’avrebbero già presa da tempo, dalla scorsa stagione, sull’esonero di un tecnico incapace di tramutare in realtà i loro bisogni.
Di scorpacciate di trofei, Champions League a parte, la Juventus ne ha già fatte nel nuovo millennio, soprattutto dal 2012 in poi. Coppe arrivate sempre con la stessa ricetta: un gruppo forte, fortissimo, cinismo, fase difensiva di ferro e qualità offensiva dei singoli. Niente trame spettacolari, tiki taka, manovra accerchiante e chi più ne ha più ne metta. Semplicemente il “fino alla fine“, la capacità di non mollare mai e non crollare agli ultimi chilometri, anzi di ribaltare le cose. Una mentalità impenetrabile ai servizi della fredda borghese e anche un po’ altezzosa tipica della storia bianconera.
Ora, però, anche questo DNA vincente sembra smarrito dalle parti di Vinovo. Il risultato è una squadra fragile, incapace di gestire tutti i momenti della partita, che paga i tanti errori dei singoli ed esprime il gioco richiesto solo a sprazzi e per brevi fasi dei match. Il pubblico voleva tutt’altro, non un instant team per tornare subito alla vittoria, ma probabilmente anche una squadra più aggressiva, meno attendista e più offensiva, che riuscisse a controllare la partita e a far male, senza perdere di compattezza, ma rischiando anche qualcosa in più.
Per questo le polemiche contro Allegri sono sul gioco, prima ancora che sui risultati, e per lo stesso motivo uno come Sarri lo rimpiangono ancora dalle quelle parti. Il tecnico della Lazio era l’uomo designato per l’ulteriore salto di qualità in Champions League, per fronteggiare la qualità di gioco di club come il Real Madrid, a cui erano riusciti a sottrarre anche Cristiano Ronaldo. Peccato che non abbia neanche avuto il tempo di gettare le basi del suo progetto. Lo scudetto è arrivato comunque nell’unico anno in bianconero, ma la squadra aveva delle caratteristiche del tutto inadatte per sviluppare il gioco come richiesto, se non in alcuni singoli e comunque i suoi principi tattici raramente si sono visti.
Una macedonia in cui l’allenatore toscano è stato scartato per puntare su Andrea Pirlo, con un epilogo è stato di gran lunga peggiore. Come ora, almeno per il momento, per Allegri. I tifosi sui social spesso rievocano il nome del tecnico, ora felicissimo a Roma, come un rimpianto ancora forte e che non hanno digerito fino in fondo. Il treno, però, ormai è passato e di fronte a un matrimonio talmente felice, come quello con il club biancoceleste, c’è chi se lo gode e chi può solo rimuginare.