La guerra al reddito di cittadinanza del governo di Giorgia Meloni è appena iniziata. Dopo aver deciso di limitarlo per il 2023 e cancellarlo del tutto dal primo gennaio 2024, infatti, si stanno studiando delle mosse per una nuova misura che possa sostituirlo. Ed è qui che è entrato in gioco il ministro dell’Istruzione del Merito, Giuseppe Valditara.
L’idea di base del ministro muove dall’assunto che molti dei percettori della misura di previdenza sociale introdotta dal primo governo di Giuseppe Conte siano giovani dai 18 ai 29 anni che possiedono a mala la pena il diploma di licenza media, motivo per cui vorrebbe stoppare il reddito di cittadinanza per tutti coloro che non assolvono all’obbligo scolastico.
La direzione che ha preso il nuovo governo nella battaglia al reddito di cittadinanza è, ormai, chiara. Nel disegno di legge di bilancio, licenziato dal Consiglio dei ministri proprio lunedì in tarda serata, infatti, la misura di previdenza sociale adottata dal primo esecutivo di Giuseppe Conte verrà da prima limitata per poi essere sostituita del tutto con una riforma che ne prenda il posto. Nessuna improvvisazione, insomma, piuttosto una presa di coscienza che lo strumento, così com’era, non poteva andare bene.
In questo solco, si devono inquadrare, quindi, le parole del nuovo ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che, dopo una ricerca delle strutture del suo dicastero, ha deciso per lo stop a chi non assolve all’obbligo scolastico. Ma andiamo con ordine.
In Italia, secondo i dati forniti dal ministro, ci sono 364.101 percettori di reddito di cittadinanza nella fascia compresa tra i 18 e i 29 anni. Di questi, ha detto Valditara, “abbiamo scoperto che ben 11.290 possiede soltanto la licenza elementare o nessun titolo, e altri 128.710 soltanto il titolo di licenza media“. In soldoni: un terzo dei giovani che non lavora e che viene aiutato dallo Stato economicamente non ha finito la scuola dell’obbligo, ed è per questo motivo che, dal governo di Giorgia Meloni, si ritiene che per accedere alla nuova misura che verrà approvata dal primo gennaio 2024 “si debba prevedere l’obbligo di completare il percorso scolastico per chi lo abbia illegalmente interrotto“.
Il risultato, che Valditara ha definito “sorprendente e inquietante“, porterà quindi a una proposta “che mostra come la parola merito nella visione mia e del governo non sia un orpello retorico, ma costituisca un preciso indirizzo politico“.
Infatti, a finire nel mirino non sono solo coloro che non hanno completato gli studi, ma anche chi ha un diploma superiore e studiato e ha finito il percorso di formazione professionale potrebbe perderlo. “Questi ragazzi – ha detto il ministro – preferiscono percepire il reddito anziché studiare e formarsi per costruirsi un proprio dignitoso progetto di vita“. D’altronde, ha spiegato, “un giovane che ha titoli di studi superiori, non ha impedimenti personali, o famigliari, ma non cerca un lavoro, né investe in formazione su se stesso, non è sostenibile economicamente e culturalmente. Un ragazzo non può consapevolmente rinunciare a coltivare i suoi talenti in qualunque forma, ed essere contemporaneamente pagato dallo Stato, ovvero dai cittadini italiani“.
“Sento dire che tagliare il reddito sarebbe disumano – ha concluso Valditare -. A me pare disumano convivere con l’illegalità, calpestare il diritto allo studio, educare i ragazzi al mantenimento a spese della società piuttosto che a credere in loro stessi e alla possibilità di migliorare le loro condizioni di vita“.
E, in effetti, basta vedere i dati presentati da Montecitorio per capire che in molti, nel percorso scolastico, ci credono. Dei 400 nuovi (o vecchi) parlamentari della Camera eletti il 25 settembre, infatti, il 68% ha una laurea, e solo il 19% è “soltanto” diplomato. Il 7%, ancora, non viene specificato, mentre il 6% è arrivato addirittura al dottorato.
Quanto alle facoltà scelte dai 295 deputati laureati, giurisprudenza è quella che va per la maggior parte con il 37% del totale, in seconda posizione, invece, si colloca economia, in cui è laureato il 20% dei parlamentari della Camera. Nell’ultimo gradino del podio non poteva che esserci scienze politiche, con il 13% del totale.
Ingegneria o architettura e lettere o filosofia o storia si contendono il quarto posto con il 7% dei laureati, mentre il 4% è un medico o un farmacista e solo l’1% è psicologo. A completare il quadro, 2% sia per le altre materie sociali e sia per altre materie scientifiche, mentre il 7% ha scelto proprio altro.
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