Il monologo di Ariete a Le Iene ci fornisce diversi spunti di riflessione

Ariete è stata ospite de Le Iene e il suo monologo ha fornito diversi spunti di riflessione: quello di cui la cantante ha parlato è quanto ancora oggi la comunità LGBTQ+ debba sentirsi discriminata, messa in secondo piano, esclusa dal mondo e di quanto questo abbia portato in alcuni casi a conseguenze estreme. Davvero è arrivato il momento di rompere il muro del silenzio e di raccontare come stanno le cose.

Ariete
Ariete – Nanopress.it

Il discorso di Ariete è stata un’occasione per tutti per riflettere sui temi dell’inclusione. Perché ancora oggi, nel 2023, c’è chi deve sentirsi come se fosse rimasto indietro? Riflettiamo partendo dalle parole della giovanissima artista.

Il monologo di Ariete a Le Iene

Quando si parla di omosessualità da eterosessuali è sempre difficile dosare le parole. “Meglio non dire questo”, “non scrivere quello”, “potresti urtare la sensibilità di qualcuno”, sono solo alcune delle cose che hanno sempre balenato nella mente di chi lo fa. Ma siamo pur sempre nel 2023 e ormai abbiamo imparato tutti che molto probabilmente essere inclusivi forse significa proprio smettere di farsi domande e trattare gli la fluidità esattamente come si tratta qualsiasi altro argomento di attualità. Eppure – sempre nel 2023 – ahinoi a volte le storie che parlano di omosessualità e transessualità diventano notizie di cronaca più che altro: vengono macchiate dal sangue versato misto alle lacrime.

Di questo ha voluto parlare ieri sera a Le Iene Ariete. Ne ha voluto parlare proprio lei, che ha soli 20 anni ma conosce benissimo il mondo LGBTQ+, perché ha sempre vissuto in prima persona sia l’omosessualità (ha dichiarato di essere bisessuale), che la transessualità (suo fratello ha cambiato sesso), ma che non ha mai trovato ostacoli nell’esprimersi nella sua famiglia. Lei che a 15 anni ha chiesto ai genitori di raggiungere la Sicilia per potersi congiungere con la donna che amava e non ha mai trovato alcuna remora. Lei che si è sempre sentita accettata e non è mai stata bullizzata (al netto di qualche episodio di violenza verbale).

Sia chiaro: Ariete non ha parlato affatto per sé stessa. Non ne avrebbe avuto alcun bisogno: ha solo 20 anni ed è già una cantante famosa in tutta Italia, ha appena partecipato al Festival di Sanremo, la manifestazione musicale più importante del Paese da tempo immemore, non si è mai sentita “esclusa” dal suo contesto familiare per via della sua sessualità. Ariete ha parlato per chi non ha voce, anzi per chi ce l’ha ma non può gridare abbastanza forte da potersi far ascoltare.

Il discorso – e questa è forse la parte più difficile da comprendere – è che chi è abituato a sentirsi etichettato come diverso (sì, perché anche oggi, nel 2023, chi non è eterosessuale almeno una volta nella sua vita verosimilmente si è dovuto sentire così per via della mentalità antiquata che regna sovrana in Italia) vorrebbe solo sentirsi compreso, incluso, accolto. Non è necessario fare molto: a volte basta solo tendere una mano e stringere quella di chi è rimasto un passo indietro per aiutarlo ad avanzare. Questa è una forma di solidarietà troppo spesso sottovalutata, ma è la più pura: non c’è bisogno di gesti plateali, a volte anche nella vita quotidiana less is more.

Ariete
Ariete – Nanopress.it

Ariete ha fatto proprio questo: non ha pensato – almeno non a Le Iene – di ergersi a paladina gay, oppure a icona della giustizia trans. Ha solo mostrato empatia nei confronti di chi è stato semplicemente meno fortunato di lei, perché ha vissuto in un contesto che non gli ha permesso di esprimersi e che lo ha addirittura punito per la sua voglia di amare chi voleva e basta.

Le sue parole ci invitano a riflettere

“Ma non la senti la responsabilità? Questa è la domanda che mi fanno di più”: così si apre il monologo di Ariete. E continua: “Vogliono sapere se mi sento portavoce di qualcosa. Da ragazza di 20 anni, felice, amata, libera, sono sempre rimasta lì, con la coda tra le gambe a cercare una risposta. Posso davvero farmi portavoce di qualcosa, lasciare un’impronta importante? Oggi ci provo e voglio parlarvi della cruda realtà che sta dietro la comunità LGBTQ+, fuori dalla bolla dei social e della sensibilizzazione. La realtà di un ragazzo transessuale o di una ragazza omosessuale che sentono tutti i giorni il peso di chi non li accetta, delle cicatrici tenute nascoste. La realtà di chi, purtroppo, non c’è più”.

In effetti qui arriva la prima nota dolente: quello di cui parla l’artista è vita vera. Tante, troppe persone sono arrivate a perdere la vita semplicemente per potersi sentire libere. Allo stesso modo, esiste anche un’altra realtà: quella di chi ha ancora la “fortuna” di poter parlare, ma porta sul suo corpo – e nella sua anima – dei lividi davvero dolorosi.

“Febbraio 2023, a Frosinone, una ventenne lesbica viene travolta da sputi, schiaffi e insulti dalla madre. ‘Preferirei una figlia morta’: le dice”. Questa è la prima storia raccontata da Ariete. Andando a scavare – me neanche troppo, trattandosi di un episodio recentissimo – nella cronaca, troviamo subito la storia di Liliana (questo il nome di fantasia scelto dai giornali per lei), malmenata dalla madre e dal suo compagno per via della sua omosessualità. La ragazza ha dovuto sopportare di tutto: è stata chiusa a chiave per tempo immemore nella sua stanza, picchiata, offesa in tutti i modi. Solo una chiamata al padre l’ha salvata: quest’ultimo ha immediatamente allertato l’avvocato e fatto partire la denuncia nei confronti della ex moglie. Si doveva arrivare a tanto? Evidentemente in questo caso sì.

“Ottobre 2022, in provincia di Como, un cameriere di 23 anni viene minacciato con espressioni omofobe, inseguito, massacrato di botte e finisce ricoverato in ospedale con trauma cranico e politrauma”. Torniamo al 4 ottobre, quindi a circa cinque mesi fa, in un paesino di soli 5mila abitanti. Erano mesi che un giovane di 20 anni continuava a insultare ripetutamente un cameriere 23enne, che mai aveva reagito. Ad un tratto l’impensabile: la situazione è precipitata improvvisamente, nel giro di pochi minuti. Il 20enne è arrivato nel locale in cui il ragazzo lavorava e lo ha preso a pugni e a calci talmente forte da spedirlo in ospedale.

“Ancora ottobre 2022, Naomi Cabral, donna trans quarantasettenne, viene trovata morta in una camera d’albergo”. Questo caso è diverso dagli altri in un certo senso, perché ad oggi non è chiaro quale sia il movente del suo omicidio (quindi non sappiamo se è stato il suo “status” a incidere oppure no). Quello che è certo, però, è che la donna argentina è stata trovata priva di vita in una camera d’hotel di Marina di Tor San Lorenzo. A ucciderla è stato un uomo di 35 anni, che l’ha strozzata a mani nude.

“Sempre ottobre 2022, per la terza volta nello stesso mese, Chiara, ragazza transgender di 19 anni si suicida a Napoli dopo avere subito episodi di violenza, bullismo ed emarginazione”. Ariete ha concluso il suo (tristissimo) “excursus” con questa storia, la più cruda in assoluto, quella con il finale peggiore. Tutto è successo precisamente a Scampia. La 19enne non si era mai sentita accettata né dai genitori né dalle sorelle, ma neanche dai suoi compagni di classe, dai suoi coetanei, da tutti coloro che la circondavano in sostanza. Era talmente frustrata da essersi rifiutata anche di completare gli studi. Emblematica la lettera rinvenuta dopo la sua morte: “A volte mi chiedo cosa ci sia di sbagliato in me. In fondo sono sempre un essere umano. Io mi sento una donna, vorrei riconoscermi, vestire al femminile e non da maschio, vorrei avere più spazio, essere tranquilla e non avere paura”. Chiara, prima del gesto estremo, era stata accolta in una comunità per minori a rischio, ma avendo abbandonato la scuola era dovuta tornare a casa a 18 anni. E quello era stato il risultato.

Alla fine il discorso di Ariete si conclude così: “Queste sono solo alcune delle storie emerse, quelle dichiarate, poi ci sono i tanti che soffrono in silenzio. E io voglio parlare per loro. Fare emergere la loro voce. Non aspettate a chiedere aiuto. Ci sono associazioni come Gay Help Line che possono offrirvi un aiuto gratuito da subito. Basta una telefonata all’800713713. Ma non la senti la responsabilità? Sì, la sento per le cose giuste, per le cose vere, per Naomi, Chiara e chissà quanti altri, per gli esseri umani, per non dimenticarcene mai”.

In effetti aiuto è proprio la parola chiave: se solo chiedere un supporto non fosse più visto come un segno di debolezza, ma di forza, se solo tutti potessero sentirsi liberi di dichiarare apertamente anche le proprie fragilità, la propria vulnerabilità, potremmo essere tutti davvero liberi, nel vero senso della parola. E, sia chiaro, questo non riguarda solo l’omosessualità, ma tutti gli ambiti della vita.

Ecco, su questo dovremmo riflettere dopo aver ascoltato il discorso di Ariete (ma avremmo dovuto farlo anche prima in realtà). Dovremmo imparare a prenderci cura gli uni degli altri, a comprenderci di più, a immedesimarci nelle persone che ci circondano, anche se ci sembra che il loro micro-cosmo sia lontano anni luce dal nostro. Dovremmo diventare tutti più empatici, più sensibili, più aperti verso gli altri. Ma, soprattutto, dovremmo capire che siamo tutti essere umani, ognuno con le proprie peculiarità, le proprie caratteristiche, la propria indole.

Quando impareremo a guardarci a vicenda e a vedere solo questo, allora forse vivremmo tutti in un mondo migliore.

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