I bandi diventeranno sempre più rari, per servizi e opere fino a 150mila euro l’incarico potrà essere affidato direttamente.
Dal 2024 via alla digitalizzazione. Cambia il meccanismo per la revisione dei prezzi.
Da domani, primo aprile, entrerà in vigore il nuovo Codice degli appalti, anche se l’efficacia delle norme è fissata dal primo luglio. Il Consiglio dei ministri aveva approvato il decreto legislativo due giorni fa, in attuazione della legge delega del Parlamento del giugno scorso, con tutte le polemiche scaturite in seguito. La riforma del codice dei contratti pubblici prevede una serie di novità nel testo composto di 229 articoli e 36 allegati. Il via libera al nuovo codice entro domani è, tra l’altro, uno degli obiettivi previsti dal PNRR.
Nelle intenzioni del governo, tra gli obiettivi della riforma c’è la semplificazione delle procedure attraverso lo snellimento degli iter burocratici per consentire rapidità di esecuzione delle opere, la lotta alla corruzione attraverso la digitalizzazione, le gare pubbliche bandite solo in caso di appalti oltre i 5,3 milioni (soglia Ue), il meccanismo di revisione dei prezzi e la banca dati nazionale dei contratti pubblici, in capo all’Anac.
Dal primo gennaio 2024 è previsto che gli appalti diventino digitali. Questo sarà possibile attraverso l’istituzione di una banca dati e di un sistema interconnessi tra soggetti e stazioni che appaltano e che gestiscono i lavori pubblici.
Poi c’è una liberalizzazione. Gli appalti fino a un valore massimo di 5,3 milioni di euro potranno essere affidati direttamente, senza prevedere un bando di gara per l’assegnazione dell’opera. In Italia la quasi totalità degli appalti rientra in questa soglia, ossia il 98% del totale pari a un mercato di 18,9 miliardi di euro l’anno. Questo comporta che potrebbero ritrovarsi a partecipare ai bandi solamente il 2% dei lavori.
In particolare, il nuovo codice stabilisce che per i servizi fino a 140mila euro e per lavori fino a 150mila euro l’incarico può essere affidato direttamente. Sopra queste soglie, invece, è prevista una procedura negoziata senza bando. In questo secondo caso, per appalti fino a un valore di un milione di euro sono invitate 5 imprese mentre per lavori che valgono tra 1 e 5,3 milioni le imprese invitate saranno 10. La gara scatta dunque solo in caso di opere dal valore ingente, che sono anche quelle meno frequenti. Sono possibili i subappalti a catena e le stazioni appaltanti qualificate potranno affidare a un unico soggetto progettazione e esecuzione dei lavori.
Dopo i sistemi provvisori sperimentati in pandemia, arriva ora un nuovo meccanismo per la revisione dei prezzi. Quando il costo dell’opera aumenta oltre il 5% rispetto al prezzo totale concordato sul contratto, allora i prezzi saranno adeguati all’80% e non al 100%. Anche in caso di ribasso c’è la variazione. Il riferimento saranno gli indici Istat relativi ai costi di costruzione. Mentre per beni e servizi gli indici saranno i prezzi al consumo, alla produzione dell’industria e dei servizi e quelli delle retribuzioni orarie contrattuali calcolati sempre da Istat.
Il governo potrà poi insieme alle regioni stabilire che una infrastruttura sia strategia e di interesse nazionale. L’elenco di queste opere sarà inserito nel documento di economia e finanza. I termini per la progettazione sono ridotti e è istituito un comitato speciale presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, deputato all’analisi di questi progetti.
Poi c’è la norma “Prima Italia” volta a salvaguardare il Made in Italy. Esistono criteri che premiano le forniture italiane e europee a discapito di quelle di paesi terzi.
Infine è previsto l’illecito professionale che comporta l’esclusione del soggetto dai lavori pubblici. Ciò avviene in caso di sanzioni da parte dell’Antitrust, in caso si verifichino tentativi di influenzare la decisione della stazione appaltante, inadempimenti verso i subappaltatori, reati di bancarotta o di irregolarità urbanistiche.
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