Dopo la strage di Parigi continuano a emergere dettagli sulle vite delle vittime e dei loro carnefici. Mohamed, 67 anni, di origini franco-algerine, vive nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, vicino a Parigi. Ha sempre condotto una vita modesta, vendendo vestiti e vivendo con la moglie, sempre in attesa del ritorno di quel figlio che non è mai arrivato: Samy Amimour, uno dei carnefici del Bataclan.
Mohamed era già salito agli onori della cronaca, lo scorso anno, quando venne intervistato da Le Monde per il suo gesto disperato: era partito da Parigi per un vero e proprio viaggio della speranza verso la Siria, dove il figlio si era arruolato nell’Isis, dopo un addestramento in Belgio.
Il padre non voleva riportarlo in patria, ma desiderava per lui un futuro diverso, migliore e aveva rischiato la sua stessa vita per dirglielo a quattr’occhi.
Una volta giunto al confine tra Turchia e Siria, aveva atteso cinque giorni a 50 gradi, prima di poter salire su un bus che l’avrebbe condotto al campo dell’esercito siriano. Su quel mezzo sgangherato c’erano persone pronte ad arruolarsi e donne desiderose di rivedere un’ultima volta i loro mariti, prima che si facessero esplodere.
Attraversò chilometri e chilometri di terre ricolme di mine antiuomo, per salvare suo figlio, ma quest’ultimo, alla vista del padre, non seppe cogliere il valore di quel gesto: tra loro ci fu soltanto un dialogo sterile, nemmeno un gesto d’affetto, un abbraccio, nulla.
Il padre tornò a casa con la morte in fondo al cuore. La moglie, che ancora conservava un briciolo di speranza, aveva intenzione di affrontare il medesimo viaggio, per raggiungere il figlio e tentare l’impresa impossibile di dissuaderlo dalla sua scelta estremista, ma non ce n’è stato il tempo: Samy si è fatto saltare in aria al Bataclan, venerdì 13 novembre 2015.
Il padre lo aveva sempre soprannominato ‘Abou Missa’, come il gatto di famiglia, purtroppo ora il suo soprannome si è trasformato in un nomignolo tutt’altro che affettuoso: ‘Abu Hajia’, la guerra.
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