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Il premio Nobel per la medicina va a Svanta Pääbo, il padre della paleogenomica

Svanta Pääbo ha vinto il premio Nobel per la medicina, esattamente come successe nel 1982 a suo padre, Karl Sune Detlof Bergström. Lo studioso oggi è considerato il padre della paleogenomica.

Svanta Pääbo – Nanopress

Vince il premio Nobel per la medicina Svanta Pääbo, il padre della paleogenomica. Di cosa si tratta esattamente? Della scienza che studia le varie tappe dell’evoluzione dell’uomo, partendo dall’analisi dei resti dei primi essere viventi. I suoi studi hanno avuto ripercussioni anche sulla medicina.

Il premio Nobel per la medicina va a Svanta Pääbo

Il premio Nobel per la medicina, assegnato dal Karolinska Institutet di Solna, va a Svanta Pääbo, direttore del laboratorio di ricerca di Antropologia evolutiva del Max Planck Institute di Lipsia e del laboratorio di ricerca in genomica evolutiva umana all’Institute of Science and Technology di Okinawa. Sembra un curioso caso del destino se pensiamo che suo padre anni prima aveva avuto lo stesso identico riconoscimento.

Nel 1982, infatti, Karl Sune Detlof Bergström, insieme a Bengt Samuelsson e a John Vane ebbero l’onore di ricevere il Nobel per le loro scoperte sulle prostaglandine. Esattamente 40 anni dopo, possiamo affermare che suo figlio ha percorso una strada parallela alla sua, ma assolutamente diversa.

L’ambito in cui Pääbo lavora, infatti, è tutt’altro. Cosa gli ha permesso di arrivare al Nobel? I suoi studi in paleobiologia, che ci hanno aiutati a capire a fondo tutti i meccanismi alla base della nostra evoluzione. Lo studioso, infatti, è considerato il padre della paleogenomica, cioè la scienza che studia le varie tappe dell’evoluzione dell’uomo, partendo dall’analisi dei resti dei primi essere viventi.

Il suo lavoro, possibile grazie anche alla tecnologia che ha introdotto tecniche di sequenziamento del Dna sempre più sofisticate, ha soprattutto tre finalità (che partono comunque dalla mappatura del genoma umano). La prima è valutare quanto oggi le persone sia diverse dai loro predecessori, la seconda è comprendere quanto il luogo in cui gli uomini crescono possa incidere sulla loro evoluzione, il terzo è comprendere perché alcune caratteristiche proprio dei primi esseri viventi, oggi non esistano più, mentre ne esistano altre che prima non c’erano.

Le scoperte che hanno reso la sua carriera così brillante sono essenzialmente due. La prima risale al 1997, la seconda è più recente invece, cioè è avvenuta nel 2008. Per quanto riguarda la prima, sappiamo che questo riguardava la mappatura del genoma del primo esemplare di uomo di Neanderthal, cosa che può farci comprendere sicuramente molto su tutta la specie umana.

Svanta Pääbo – Nanopress
La sua seconda sensazionale scoperta, invece, ha riguardato l’identificazione di un ominide, l’Homo di Denisova, i cui resti furono ritrovati nel 2008 presso i monti Altaj, in Siberia. Fu proprio lo studioso svedese a provvedere al sequenziamento del suo Dna e a leggere i risultati. Alla fine, infatti, scoprì che si trattava di un nostro avo mai identificato prima, che aveva vissuto dopo l’uomo di Neanderthal ma prima dell’uomo Sapiens Sapiens e che sarebbe partito dall’Africa per arrivare prima in Asia e poi in Europa.

L’impatto delle sue scoperte sulla medicina

C’è da dire però che, mentre a primo impatto sembrerebbe che gli studi del Nobel per la medicina riguardino perlopiù la paleontologia, in realtà hanno ripercussioni anche in ambito medico.

Grazie ai suoi studi, infatti, oggi sappiamo perché la capacità di resistere in alta quota è propria soprattutto di alcune popolazioni (come quella tibetana): questa attitudine dipende del gene EPAS1 che deriva dai discendenti dell’ominide di Denisova.

E non solo, perché una delle scoperte più recenti dello studioso ricade anche sul Covid: grazie a lui oggi sappiamo perché in alcuni soggetti la malattia si è sviluppata in forma grave, mentre in altri in forma lieve. La genetica gioca un ruolo fondamentale anche in questo: sono le variazioni di Dna contenute nel cromosoma 3 che fanno sì che il rischio aumenti.

Come si è arrivati a questa scoperta? Con uno studio del genoma ovviamente. In questo caso le mutazioni si trovano in una regione composta da più di 49mila paia di basi. Pääbo ha scoperto che quest’area era presente anche nei resti di un Neanderthal che viveva nell’Europa meridionale circa cinquantamila anni fa, quindi significa che è resistente al tempo e ai cambiamenti.

Chi ha queste mutazioni, comunque, ha un rischio di tre volte più alto si sviluppare il Covid in maniera più grave.

Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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